La gente di Raqqa è di nuovo in fuga. Stavolta dalle bombe francesi: i raid non avrebbero provocato morti, né civili né islamisti, ma molti di quelli rimasti a vivere nell’autoproclamata capitale del califfato hanno cercato riparo nelle campagne. Sanno che è solo l’inizio: «Questa città è il palcoscenico della vendetta internazionale», dicono alcuni residenti a Syria Direct.

Le prime bombe mandate dal presidente Hollande in risposta alle stragi di Parigi hanno fatto saltare l’elettricità, dice il gruppo “Raqqa is being slaughtered silently”, anche se è difficile stimare i danni a causa delle difficoltà a muoversi.

«Tutti devono sapere che gli abitanti di Raqqa sono contro le esplosioni in Francia – dice Abu Muadh, intervistato da Syria Direct – Noi soffriamo ogni giorno il terrorismo di Daesh». Ma – gli fa eco un ex residente, oggi rifugiato – sono stanchi delle rappresaglie: «Se un aereo esplode in Egitto, Raqqa viene bombardata. Se un aereo giordano cade, Raqqa viene bombardata; dopo le esplosioni di Parigi, Raqqa viene bombardata».

Parigi ha proseguito ieri nelle operazioni aree e promesso un’intensificazione: «La portaerei Charles de Gaulle partirà giovedì per il Mar Mediterraneo [lungo le coste di Siria o Libano, ndr], questo triplicherà le nostre capacità di intervento», ha detto il presidente francese Hollande. Saranno così dispiegati 38 jet, i 26 della portaerei e i 12 già attivi nel Golfo. Una conseguenza degli attacchi parigini? No. Secondo l’Ihs Jane’s Defence, il dispiegamento della de Gaulle era stato deciso almeno 10 giorni fa, nella chiara intenzione di rafforzare il ruolo francese all’interno della coalizione, considerata anche dall’interno troppo lenta e inefficace. I raid ci sono, ma non sono numerosi né precisi e l’Isis si è presto adattato alle condizioni di guerra, limitando le perdite.

I siriani, invece, sono esausti. E il timore è che l’intervento della coalizione globale possa radicare ulteriormente lo Stato Islamico, rafforzarne la propaganda. Ma soprattutto portare ad una nuova unità tra i gruppi islamisti presenti in Siria. Ieri in un comunicato online, al-Nusra si è congratulato per gli attentati in Francia e a Beirut, pur mantenendo le distanze dall’Isis. Non è detto che tali distanze debbano persistere a lungo: un fronte unito contro il governo di Damasco e l’intervento occidentale non è da escludere, soprattutto alla luce dei precedenti accordi di non aggressione tra Isis e al-Nusra.

Diversa l’opinione di Ahrar al-Sham, gruppo alleato di al-Nusra: la milizia ha condannato gli attacchi, dicendosi interessata alla battaglia per la Siria e i siriani. Un calderone di gruppi e miliziani che si legano gli uni agli altri per ragioni di interesse strategico, che potrebbero far fronte comune contro il nemico per poi aprire una faida interna per il controllo del territorio, ennesima minaccia all’unità della Siria. E a quella del vicino Iraq: nei due paesi si stanno combattendo battaglie parallele, alcune vinte dai gruppi terroristici, altre dalle forze che vi si oppongono, ma nessuno sta prevalendo. Il risultato immaginabile sarà la frammentazione del cuore del Medio Oriente, su basi etniche, politiche e religiose, che è poi la ragione per cui paesi come Arabia saudita, Turchia, Emirati Arabi hanno fatto prosperare i gruppi jihadisti.

La stessa Sinjar, che è stata una significativa vittoria per i peshmerga kurdi e tagliato le vie di rifornimento e collegamento dell’Isis con la Siria, ha aperto ad uno scontro interno all’Iraq tra kurdi e arabi per il controllo delle zone liberate. Lo dicono gli stessi residenti di Sinjar: «Gli yazidi odiano gli arabi per quello che hanno fatto – dice il 35enne Barakat Garais, all’Wall Street Journal – Non possiamo fidarci a vivere accanto a loro».

E mentre il Medio Oriente continua a frammentarsi, si alzano sempre più forti le sirene della guerra: ieri il premier britannico Cameron ha annunciato un voto a breve del parlamento – che nel 2013 bocciò l’intervento in Siria – per approvare raid congiunti con la coalizione. Da Mosca Putin (che ieri ha bombardato Raqqa, come Parigi) ha ordinato alla sua flotta di cooperare con quella francese e di «lavorare da alleati».