La guerra al terrorismo «giustifica» molte derive. Dal 2016 e fino al 2019, la Francia ha venduto all’Egitto un aereo di tipo Merlin III e dei sistemi di intercettazione sofisticati, collaborando al loro suo, con l’invio sul posto di quattro militari e sei ex soldati riconvertiti nel civile, che operavano per una società lussemburghese, Cae Aviation.

La missione Sirli, che prevedeva operazioni di riconoscimento aereo lungo la frontiera tra Egitto e Libia, era stata decisa dall’allora ministro della Difesa, Jean-Yves Le Drian (oggi agli Esteri), e il suo omologo egiziano Sedki Sobhi, quattro anni dopo la caduta di Gheddafi, per far fronte al caos della regione e la presenza di jihadisti, sia Al Qaeda che Isis.

Secondo una rivelazione del sito Disclose, non smentita dal ministero della Difesa, il regime di al-Sisi ha «allargato» l’obiettivo della missione. Non solo individuare e neutralizzare potenziali terroristi, presenti in questa ampia area lungo un confine di mille chilometri: la dittatura egiziana ha utilizzato le informazioni per colpire reti di traffici di armi, droga e anche di migranti. Secondo la denuncia di Disclose, ci sono state «numerose vittime civili».

I francesi erano al corrente. Addirittura, tra il 2016 e il 2018, avrebbero partecipato a 19 azioni di bombardamenti contro dei civili. Dal 2016, ci sono state informazioni da parte dei militari in missione, che avevano avvertito Parigi della «volontà dell’aviazione egiziana di utilizzare informazioni a fini repressivi contro traffici locali».

Nel 2019, una missiva avverte su «casi verificati di distruzione di oggetti intercettati», azioni che esulano dalla missione iniziale. Ma non c’è stata nessuna reazione da parte dei governi francesi, sia sotto la presidenza Hollande, che aveva iniziato la missione, che con Macron, che l’ha proseguita.

Il ministro della Difesa dovrebbe avviare un’inchiesta interna, per fare chiarezza su queste esecuzioni extragiudiziarie da parte dell’Egitto, con collaborazione francese. Dei partiti di opposizione (France Insoumise, Europa Ecologia), assieme a Amnesty International, chiedono un’inchiesta parlamentare. Ma è difficile che sia questa la strada che verrà seguita.

Per la Francia, l’Egitto è un ottimo cliente di armi: è il terzo acquirente, tra il 2011 e il 2020 ha comprato armamenti per più di 6,6 miliardi di euro. Nel 2015, Il Cairo ha comprato 24 Rafale e quest’anno si è impegnato ad acquisirne altri 30, i finanziatori sono sempre Arabia saudita ed Emirati, i due paesi alla punta della contro-rivoluzione araba, di repressione delle «primavere».

Dal 1999 in Francia viene pubblicato ogni anno un rapporto sull’export di armi e nel 2020 è stato suggerito di estendere questa pratica anche a materiali di sorveglianza che possono avere un «doppio uso». Da settembre, è in vigore un regolamento Ue sul controllo delle esportazioni di materiale di cyber-sorveglianza.

Ma i rapporti con l’Egitto sono delicati. Nel 2019, in un primo viaggio al Cairo, Emmanuel Macron aveva accennato ai problemi del rispetto dei diritti umani. Ne era seguito un periodo di freddezza nelle relazioni bilaterali. La crisi era poi stata superata con il viaggio di al-Sisi a Parigi, accolto con tutti gli onori, a cui era persino stata data, anche se un po’ di nascosto, la Légion d’Honneur, sollevando molte polemiche. L’Egitto è considerato una pedina importante per la lotta al terrorismo, che in Francia ha fatto centinaia di morti in vari attacchi dal 2012.

Secondo Aymeric Elluin di Amnesty International, però, si tratta di un rapporto «a senso unico, la Francia e il popolo egiziano sono i grandi perdenti di questa relazione, dove non si fa che ricompensare le violazioni dei diritti umani». Tra l’altro, per i responsabili c’è il rischio di conseguenze giudiziarie: in Francia ci sono quattro indagati per «complicità di tortura», per vendite di materiali di repressione a Egitto e Libia nel 2013 e 2017.