Il premier non c’è ancora, il centrodestra non c’è più. Le esequie verranno comunque rinviate almeno sino a dopo il 10 giugno, perché non sta bene presentarsi uniti sulle liste e divisi nella realtà. Ma il fattaccio, del resto previsto, si è consumato ieri tra reciproche accuse di tradimento. Un po’ è quel che gli azzurri e il Carroccio pensano davvero l’uno dell’altro. Un po’ è il solito gioco del cerino, perché la patente di lealtà, nell’elettorato dell’ex centrodestra, vale voti sonanti.

AD APRIRE IL FUOCO è stato Silvio Berlusconi, che mordeva il freno da giorni. Il contratto è pieno di cose che gli piacciono poco. Su tutto torreggia il capitolo giustizia, ma anche l’euroscetticismo riemerso non è affatto gradito da un Berlusconi che è oggi, al contrario di quel che era, il più euroconvinto di tutti. Ancora peggio del contratto è l’accettazione da parte di Matteo Salvini di un premier a cinque stelle. E’ vero, il leader del Carroccio insiste nel veto contro Luigi Di Maio. Ieri si è fatto anche affidare dal consiglio federale il mandato per ripetere il no all’incarico per il capo dei 5S e per trattare su un altro pentastellato. Il problema è che Berlusconi vive come un tradimento l’insediamento a palazzo Chigi di qualsiasi esponente dei 5 Stelle, non del solo Di Maio.

Poi c’è la sensazione, che monta sempre più, di un’affinità decisamente più marcata tra i contraenti della futura maggioranza che tra gli alleati del centrodestra, tanto da far sospettare che un domani l’accordo tra i soci di governo possa diventare ben più stabile e a lungo termine di quanto non sia per il momento. Nel contratto, a pagina 7, c’è una frasetta sulla necessità di «competere in modo corretto» in tutte le varie e prossime prove elettorali che gli azzurri, a torto o a ragione, hanno preso per una pistola quasi fumante.

Tutto si somma anzi si moltiplica, e il Cavaliere sbotta. Il contratto suscita «preoccupazione molto forte e delusione profonda». Salvini «non ha parlato a nome del centrodestra ma sempre a nome suo e della Lega», tanto che ormai «la distanza è molto profonda». Berlusconi racconta di aver anche chiamato al telefono il leghista per consigliargli di sfilarsi: evidentemente invano. Già che ci si trova aggiunge che, dopo la riabilitazione, c’è un altro nome in ballo per guidare sia il centrodestra che il Paese: «Un certo Silvio Berlusconi che ha nove anni di esperienza di governo del Paese..».

E’ QUEST’ULTIMO passaggio che manda in bestia i leghisti. Salvini fa filtrare, attribuendola ad anonime «fonti autorevoli della Lega», una risposta per le rime: proporsi come premier è un tradimento. Poi alza il telefono e chiama direttamente il leader che, sulla carta, è ancora suo alleato. I toni si alzano di parecchio. Salvini chiede a muso duro spiegazioni. Berlusconi gli risponde accusandolo di aver fatto in coriandoli la posizione del centrodestra in particolare sulla giustizia: «Ti stai mettendo nelle mani dei procuratori alla Di Matteo».

DOPO LA RECIPROCA sfuriata Berlusconi abbassa un po’ i toni. Assicurando che l’opposizione al governo non sarà pregiudiziale e si dice certo che «i nostri amici della Lega faranno da freno ai 5 Stelle, forze dell’odio e dell’invidia sociale». Ma nella sostanza conferma e rincara. Nega che ci sia un possibile leader con le doti necessarie per guidare il Paese (salvo se stesso ovviamente), mettendo così nel mazzo degli incompetenti anche Salvini. Profetizza per il governo vita breve: «Bisogna prepararsi alle elezioni». Al momento della fiducia, Fi voterà no. Di lì in poi farà il possibile perché l’infausta profezia si avveri.

Berlusconi ha deciso di rompere gli indugi, di fatto anche se non ancora sulla carta, nonostante i pareri contrari di alcuni consiglieri, che suggerivano di aspettare l’esito della trattativa sul premier. Il capo non gli ha dato retta. E’ convinto che l’accordo sia già sicurissimo. Probabilmente ha ragione, ma in linea di principio deve ancora essere superato lo scoglio principale. Luigi Di Maio ondeggia. Nel pomeriggio promette «notizie a breve» sul sospirato nome, che però non arrivano. Conferma la sua disponibilità al passo di lato, ma aggiunge, parlando di se stesso, «potrei anche non essere premier»: non è proprio la stessa cosa.

INCASSATI I CERTISSIMI sì del sondaggio on line ieri e dei gazebo leghisti oggi, i due leader si rivedranno domenica. E se davvero vogliono salire al Colle lunedì, come Matteo Salvini giura e assicura, un accordo dovranno trovarlo per forza. Salvo perdere ogni credibilità prima ancora di partire.