Secondo il rapporto presentato qualche giorno fa dalla Corte dei Conti alla Commissione Finanze della Camera, ammonta a quasi 25 miliardi di euro –sui 160 complessivi dello Stato italiano- il valore nozionale dei contratti derivati sottoscritti dagli enti territoriali nel corso degli ultimi decenni.

E se è pur vero che Regioni ed enti locali dal 2009 non possono più sottoscrivere derivati, con l’unica eccezione dei contratti di protezione contro l’innalzamento dei tassi sui mutui contratti, è altrettanto evidente come, con quel provvedimento, si sia troppo spesso chiusa la stalla quando i buoi erano già scappati.
L’indagine conoscitiva della Corte dei Conti evidenzia “gravi anomalie” nei rendiconti degli enti locali, a partire dal fatto che la gran parte di questi contratti derivati siano stati sottoscritti non tanto come garanzie per la gestione del proprio debito, quanto per ottenere flussi di cassa immediati e come tali fantasiosamente inseriti nelle entrate dei rispettivi bilanci.

La cifra dell’indebitamento degli enti territoriali rispetto ai derivati, secondo la Corte dei Conti, vale il il 28% dei 52,77 miliardi di debito delle Regioni (91% per la Campania e 73,9% per la Liguria!!); eppure, sempre secondo la Corte, i prodotti sottoscritti rivestono “profili di criticità piuttosto elevati”, gli apparati preposti per la loro gestione “sono totalmente inadeguati”, mentre si evidenziano “violazioni normative”, contabilizzazioni “errate”, nonché “notevoli squilibri contrattuali in danno degli enti per la mancata valutazione della convenienza economica dei contratti”.
E la relazione della Corte dei Conti segnala, qua e là per la penisola, situazioni limite: in Emilia Romagna, i comuni di Modena e Forlì-Cesena non hanno creato il fondo di accantonamento necessario per coprire eventuali perdite future; in tre comuni pugliesi sono stati sottoscritti derivati legati a mutui già estinti; in Campania vi sono comuni che hanno per consulenti gli stessi intermediari finanziari con i quali sono stati sottoscritti i derivati; in Liguria diverse operazioni sono state effettuate in palese violazione della normativa allora vigente; la città di Venezia, già a rischio di tenuta del bilancio, ha sulle sue spalle quattro contratti di finanza derivata, che, solo nel 2011, hanno prodotto perdite di oltre 5 milioni. E via cantando.

E se la Legge di Stabilità 2014 ha fatto bene a rendere definitivo il divieto per gli enti locali a stipulare nuovi contratti derivati, alcune brevi riflessioni devono comunque essere fatte.

La prima di queste riguarda la malafede delle banche, che hanno approfittato della disparità informativa tra i propri uffici e quelli degli enti locali per far sottoscrivere vere e proprie truffe ai danni delle collettività territoriali; la seconda riguarda l’irresponsabilità degli amministratori locali che, facendo coincidere il tempo delle scelte su un territorio con quello della propria rielezione, hanno azionato pesanti ordigni sul futuro delle comunità da loro governate.
E qui non può mancare un forte richiamo alle comunità territoriali, ai comitati attivi e alla cittadinanza diffusa: per quanto tempo ancora si può accettare che tutto quello che riguarda debito, finanza locale, patto di stabilità e vincoli monetaristi sia appannaggio degli amministratori, dei loro funzionari e delle banche che li manovrano?

Non è ormai venuto il momento che si invadano gli uffici comunali pretendendo di conoscere che uso delle risorse collettive viene fatto, rivendicando il diritto di decidere tutti assieme e avendo come faro delle scelte il tempo lungo del benessere generale, invece dell’indice di Borsa del giorno dopo e/o il prossimo appuntamento elettorale?