Il punto in cui bisognava prelevare l’audioguida era il parco della stazione, ma vedo soltanto gruppi di migranti pacificamente seduti sull’erba a godersi l’ombra in un pomeriggio assolato con temperature superiori ai 33 gradi. La città è Bolzano, punto di snodo per coloro che vogliono raggiungere paesi oltre quella barriera a nord che è il Brennero e dove spesso vengono tirati (letteralmente) e (quasi) buttati giù dai treni diretti in Austria e Germania. È qui che si era creata l’Associazione Binario 1 nel 2014, anno in cui la mattina presto i binari erano invasi da centinaia – a volte – di giovani uomini e donne in attesa di varcare il confine, senza cibo, senza letto, senza tetto. Mi aggiro per i vialetti del parco, a mia volta, sotto i grandi platani e gli elegantemente ampi castagni intravedendo la casupola dove noleggiano biciclette. Forse ne sanno qualcosa, mi dico. C’è un ragazzo di colore che ascolta musica con le cuffiette. Gentilmente se le toglie quando mi vede, chiedendomi cosa desidero. “Conosci il progetto You are but you are not che ha sede qui nel parco?” Mi guarda con aria incuriosita, poi si guarda attorno e alla fine mi porge il cellulare, offrendomi di cercare su google la risposta alla mia domanda… Infatti, poco dopo affiorano le immagini del parco su Google Earth, proprio quelle degli alberi che vediamo sull’altro lato della strada. Lo ringrazio e mi inoltro verso l’obiettivo trovato. Lui si chiama Fernando, è originario della Colombia e vive in Italia da ormai dieci anni. Ben integrato, con un lavoro.

Già da lontano vedo una costruzione in legno giallo, a forma di uditorio, con la scritta a grandi lettere nere “You are but you are not”. Perfetto, ci sono. Sopra il cubo è seduto un giovane, nero, un altro è accanto, in piedi. Stanno chiacchierando. Saranno loro due a gestire le audioguide del progetto, penso, curato e prodotto dall’associazione culturale Lungomare, fondata nel 2003 per indagare temi legati alla sperimentazione negli ambiti del design, di architettura e urbanistica, di arte e teoria. Loro due, però, del progetto inventato da Kolar Aparna, geografa, e Beatrice Catanzaro, artista, ne sanno poco o nulla visto che come unica risposta ottengo ulteriori occhiate incuriosite. Anzi, sono loro a rivolgersi a me con un per loro forse innocuo: “Ehi, mama!, ho un problema”. Originari della Nigeria, sono in Italia da un anno e due mesi e tuttora senza lavoro, senza documenti, in attesa… Erano in tre amici a fare la trasferta “by boat” ma alla domanda sul prezzo si limitano a dirmi: “tu non conosci la nostra valuta e in euro sarebbe ridicolo dirlo”. Ha ragione, infatti, come si può misurare in denaro fatica e tempo spesi per realizzare un sogno che poi svanisce in un’esistenza “senza tetto, né legge” (per citare il titolo del film di Agnès Varda, famoso cult movie negli anni ottanta)? Continuiamo a parlare, vorrei che mi raccontassero un po’ di loro ma ottengo soltanto la dichiarazione che è passato tanto tempo e che molte cose le hanno dimenticato. Sarà vero? Forse sì, forse no. Uno mi dice che ha lasciato il figlio in Nigeria e che non sa come crescerlo, per ora sta con i genitori, i suoi, perché una moglie non c’è, il figlio era nato per sbaglio… Poi chiedono loro a me dove vivo, se ho figli e famiglia – per un africano la famiglia è argomento importante… Li saluto e continuo la mia ricerca delle audioguide inoltrandomi nel viale della stazione, avendo Google Earth indicato anche quello come punto del percorso. Cammino e passo accanto a vari negozi di verdure, bazar con alimenti tipicamente africani e una macelleria halal. Un tempo qui c’erano molti punti internet e numerosi esercizi commerciali gestiti da immigrati ma l’immobile è stato venduto a un magnate dell’edilizia austriaco il quale ha vinto il bando per ripianificare (ma soprattutto “riqualificare”) l’area attorno alla stazione di Bolzano per cui l’intero assetto sarà abbattuto assieme all’area del parco.

A questo punto decido di proseguire nel mio errare fino alla tappa finale indicata nella descrizione del progetto, ossia il Parco Rosegger situato di fronte alla questura di Bolzano, altro luogo chiave per i migranti di passaggio in città. Parlerà il testo della differente situazione di coloro che arrivano qui, profughi di guerra, speranzosi di essere aiutati nella ricreazione di una vita dignitosa, e di tutti coloro che vivono qui da anni, giunti dai paesi dell’est, allora in guerra e che ormai sono più o meno integrati? Sull’altro lato del viale della stazione che (uscendo dalla città) diventa viale Druso hanno aperto gli esercizi commerciali che hanno dovuto chiudere sul lato destro poco addietro: ecco che si susseguono vari internet point, due parrucchieri che espongono il cartello “Taglio capelli 10 euro” – pieni di uomini giovani, tutti in fila per farsi lavare i capelli e radere quasi a zero – un’altra macelleria halal, un grande bazar, il ristorante Safran e un Pizza Call. Di scatto la fila di negozi finisce, così come il tran tran sul marciapiede, gli uomini in bicicletta. Davanti a me il cartello “questura”: guardo il piazzale e provo a immaginare che cosa possano sentire i migranti quando vengono portati qua: paura, rabbia, impotenza, speranza? Chissà. Attraverso la strada essendo giunta a destinazione: davanti a me si apre il Parco Rosegger. Chissà se qui trovo un punto di accoglienza per le persone che terminano il percorso? Nulla, soltanto due persone sole, assonnate, sedute sulle panchine.

Torno al parco della stazione per fare qualche foto col cellulare alla struttura gialla nel parco della stazione, ormai vuota, e all’albero nei cui rami vedo nascosti alcuni sacchi a pelo dentro sacchetti di plastica. Un uomo è seduto sulla panchina vicina, si accorge che scatto foto e mi dice di non farlo perché altrimenti gli portano via le sue cose… Come mai pensa questo? Mah… Torno al prato dov’ero passata all’inizio per scattare qualche foto alle persone sedute nell’erba e sulle panchine, a giocare a carte o a chiacchierare in santa pace. Dopo un paio di scatti, sopraggiungono due migranti in bicicletta e accortisi del mio fotografare si avvicinano urlandomi energicamente: “No no no, cancella cancella!”. Mentre sorvegliano la mia azione del cancellare le foto, uno di loro mi dice arrabbiato: “no facebook, no media!” L’altro mi guarda con disprezzo dicendomi in inglese: “what are you doing? We are persons, we are here, no work, no house, please do not take photos” (cosa stai facendo? Siamo persone, siamo qui, senza lavoro, senza casa, non fotografarci). Certo, loro la condizione del titolo del progetto “Sei ma non sei” la vivono pienamente. You are but you are not – se non ci fosse la parolina “ma” (but) potrebbe essere un concetto buddhista dell’esistenza. La vita è essere non essere, a suon di battiti d’amore e di dignità, sempre. Innanzitutto.

 

 

Nel 2016 l’associazione culturale Lungomare ha invitato la geografa Kolar Aparna e l’artista Beatrice Catanzaro a partecipare a un progetto di residenza di lunga durata (2016/17) legato al contesto dell’Alto Adige come regione di confine in relazione al flusso migratorio di richiedenti asilo che la sta attraversando. L’approccio condiviso delle due partecipanti incrocia questioni che emergono nell’indagine teorica sul fenomeno con una pratica sul campo e definisce il contesto per una riflessione sul mutamento sociale e sulla dimensione politica nella produzione artistica. Ne è risultata l’audio-guida You are but you are not sul tema di confini e migrazioni: suddivisa in tre capitoli, è registrata in tre lingue ed è intesa come intervento permanente per la città di Bolzano. Inizia – virtualmente – alla stazione di Bolzano e conduce lungo i “margini” della città, attraversando la stazione e seguendo un itinerario che conduce al Parco Rosegger di fronte alla questura. A suon di metafore si descrive arrivo, attesa, controllo dei dati personali e – forse – soggiorno di coloro che giungono da paesi lontani. Peccato che non ci sia alcuna differenziazione tra coloro che arrivano per volontà forzata – per le quote assegnate provincia per provincia – e coloro che arrivano per volontà propria nella speranza di varcare il confine verso l’Europa, la grande speranza per tanti. Quale confine? – si chiede la voce maschile dal timbro anonimo che recita i testi della guida – se ogni giorno la placca africana si sta infilando impercettibilmente e indelebilmente sempre di più sotto quella eurasiatica per cui un domani ci si potrebbe svegliare tutti al di là del confine… al di là di un sud che è diventato nord, e viceversa.