Da Washington giungono nuove buone notizie per il governo di ‎destra di Benyamin ‎Netanyahu. Il riconoscimento di Gerusalemme ‎come capitale di Israele fatto a dicembre da ‎Donald Trump è stato ‎solo l’inizio di un idillio senza precedenti nella pur stretta alleanza ‎tra ‎Usa e Stato ebraico. La nomina a Consigliere per la sicurezza ‎nazionale di John Bolton, ‎anima e volto dell’America più ‎conservatrice e imperialista, pochi giorni dopo il ‎licenziamento del ‎Segretario di stato “moderato” Rex Tillerson e la sua sostituzione ‎con il ‎falco Mike Pompeo, ha messo Donald Trump alla testa di un ‎‎”consiglio di guerra” a tutti gli ‎effetti che concentrerà la sua ‎attenzione sull’Iran e lavorerà per demolire l’accordo ‎internazionale ‎del 2015 sul programma nucleare iraniano (JCPOA). Ogni scenario ‎sarà ‎possibile. Bolton dovrà gestire anche il dossier Corea del Nord‏.‏‎ ‎

‎ Teorico dell’invasione dell’Iraq ai tempi di George W. Bush ‎‎(raccontò ovunque falsità per ‎giustificarla), ex inflessibile ‎ambasciatore Usa all’Onu, nettamente contrario ‎all’indipendenza ‎palestinese, Bolton è anche un oppositore accanito del JCPOA e per ‎tre ‎anni ha chiesto, dai microfoni di Fox News, che gli Stati Uniti ‎abbandonino l’accordo.‎ Non ‎sorprende che Israele ieri abbia ‎applaudito alla scelta di Trump. La ministra della giustizia ‎Ayelet ‎Shaked ha sottolineato che ‎«Il presidente Trump continua a ‎nominare veri amici di ‎Israele in posizioni di alto livello». Su ‎twitter il ministro dell’istruzione Naftali Bennett ha ‎definito ‎Bolton, ‎«uno straordinario specialista di sicurezza, un diplomatico ‎esperto e un ‎amico fedele di Israele»‎‏.‏‎ Con Pompeo e Bolton nella ‎stanza dei bottoni, il governo ‎Netanyahu è sicuro Trump a maggio ‎non certificherà il JCPOA e, ritirando l’adesione degli ‎Stati Uniti, ‎decreterà la fine dell’accordo internazionale con Tehran. ‎‎

L’Ue vuole salvare ‎l’intesa ma i tentativi messi in campo da Gran ‎Bretagna, Francia e Germania per ‎assecondare l’intimazione di ‎Trump di “aggiustare” l’accordo con Tehran, ‎probabilmente ‎risulteranno inutili. Il presidente Usa vuole pesanti sanzioni contro ‎il ‎programma iraniano di costruzione di missili balistici, chiede ‎accesso libero e in qualsiasi ‎momento per gli ispettori nucleari ‎internazionali agli impianti iraniani (in particolare a quello ‎di ‎Parchin) e insiste per prolungare il limite di tempo imposto a ‎Tehran per le sue ‎produzioni atomiche. Nessuno tuttavia conosce ‎quali siano per Trump i risultati accettabili ‎per rimanere ‎nell’accordo. Gli europei sarebbero pronti a sanzionare lo sviluppo ‎dei missili ‎balistici iraniani a lunga gittata. Ma Trump ‎probabilmente vuole che Tehran rinunci anche ‎quelli a medio e ‎corto raggio in grado di raggiungere Israele, l’Arabia saudita e le ‎basi Usa ‎sparse nel Golfo. E l’Iran, senza una moderna aviazione ‎militare, non accetterà mai di ‎cessare la produzione di missili a corto ‎e medio raggio privandosi di un’arma efficace in una ‎regione dove ‎ha molti nemici. ‎

A Washington un po’ tutti prevedono che gli Stati Uniti e gli ‎europei non potranno ‎concordare le modifiche al JCPOA. Quindi ‎l’uscita americana dall’intesa internazionale con ‎l’Iran è certa. E ciò, ‎sottolineano alcuni esperti israeliani a commento della nomina di ‎John ‎Bolton, pone di nuovo sul tavolo ‎«l’opzione militare‎», ossia il ‎bombardamento da parte di ‎Israele e Usa – o solo di Israele con ‎l’approvazione americana – degli impianti nucleari ‎israeliani che ‎Barack Obama aveva escluso. Israele in sostanza avrà l’opportunità ‎di attuare ‎di nuovo la “dottrina Begin” di attacco “preventivo” ‎contro impianti nucleari veri o presunti ‎in costruzione da parte dei ‎suoi avversari, in modo da rimanere l’unica potenza atomica ‎‎(non ‎dichiarata) nella regione. Per questo non è un caso che proprio ‎qualche giorno fa, tra ‎la nomina di Pompeo e quella di Bolton, il ‎governo Netanyahu abbia ammesso di aver ‎distrutto, 11 anni fa, un ‎sospetto sito nucleare in Siria. Una ammisione fatta per mandare ‎un ‎messaggio chiaro all’Iran ora che il JCPOA scricchiola. E forse non ‎è un caso neppure che ‎il quotidiano israeliano Haaretz ieri abbia ‎riferito dei ‎«sospetti‎» che desta fra i ‎«ricercatori ‎americani» ‎un ‎«misterioso impianto sotterraneo‎» ancora in Siria, a due ‎chilometri dal ‎confine con il Libano.

‎ Intanto vanno a gonfie vele le vendite di armi Usa all’Arabia ‎saudita. L’erede al trono ‎Mohammed bin Salman pagherà con un ‎miliardo di dollari per l’acquisto di 6.500 missili ‎americani. A ‎Riyadh è consentito possedere missilisti balistici, all’Iran no. Il ‎principe, nei ‎giorni scorsi in visita a Washington, inoltre ha ‎annunciato investimenti sauditi per 400 ‎miliardi di dollari ‎nell’economia americana nei prossimi dieci anni. ‎