«Stiamo monitorando i fatti in corso», ha dichiarato alla stampa la portavoce della Casa Bianca, Sarah Sanders rispondendo a una domanda sulla crisi in Venezuela. In realtà l’amministrazione Trump sta facendo ben più di così; il consigliere per la Sicurezza nazionale Usa, John Bolton, ha inviato un tweet diretto al ministro della Difesa venezuelano, Vladimir Padrino, dove ha scritto che «Le Forze Armate Nazionali Bolivariane – ha detto proprio «bolivariane» – devono proteggere la Costituzione e il popolo venezuelano. Dovrebbero stare dalla parte dell’Assemblea nazionale e dalle istituzioni legittime contro l’usurpazione della democrazia. Gli Stati Uniti si alzano con il popolo del Venezuela».

Una conferma della posizione di assoluto sostegno Usa a Guaidó è arrivata anche dal Segretario di Stato, Mike Pompeo: «La democrazia non può essere sconfitta – ha dichiarato Pompeo – Oggi il presidente ad interim Juan Guaidó ha annunciato l’avvio dell’Operazione Libertà. Il governo degli Stati Uniti sostiene totalmente il popolo venezuelano nella sua lotta per la libertà e la democrazia».

Il senatore repubblicano della Florida Marco Rubio, da sempre impegnato nella «causa venezuelana», ha chiesto pubblicamente ai militari venezuelani di appoggiare l’iniziativa di Guaidó di queste ore: «Popolo del Venezuela, il destino ora è nelle vostre mani. È arrivato il momento di recuperare la patria e la libertà», ha detto Rubio.

Solo pochi giorni fa lo stesso Trump, in una serie di dichiarazioni tutte incentrate sulla retorica anti migranti che sta caratterizzando la sua presidenza, ha attribuito alla crisi venezuelana parte della necessità di rafforzare ancora di più i già sufficientemente blindati confini statunitensi, in quanto, a sua detta, la carovana di migranti partita dall’Honduras, nel tragitto per arrivare al confine meridionale Usa, starebbe raccogliendo anche migranti venezuelani che potrebbero importare il socialismo in terra Nord americana mentre «il socialismo non deve passare».

In realtà il socialismo che preoccupa Trump non è quello venezuelano ma quello statunitense che sta diffondendosi come antidoto e alternativa al capitalismo di stampo novecentesco di cui The Donald è incarnazione e fautore, ma unendo i due elementi è ancora più facile cercare di giustificare la frenetica corsa alla protezione dei confini nazionali ed i continui giri di vite e le restrizioni dei migranti.

Lunedì in tarda serata la Casa Bianca ha reso pubbliche le nuove limitazioni che i richiedenti asilo che cercano rifugio negli Stati Uniti dovranno affrontare e che includono tasse di iscrizione e restrizioni sui permessi di lavoro, oltre a ciò il presidente Usa ha ordinato che i casi nei tribunali dell’immigrazione, già sovraccarichi di lavoro, siano risolti entro 180 giorni. Le restrizioni non hanno effetto immediato, Trump ha dato ai funzionari dell’amministrazione 90 giorni per elaborare i regolamenti necessari per far eseguire i suoi ordini espressi in un memo inviato a Kevin McAleenan, il segretario ad interim del sicurezza del territorio, e al procuratore generale William Barr.

L’amministrazione ha già limitato il numero di migranti che ogni giorno possono richiedere asilo e dove devono aspettare la risoluzione dei loro casi; al momento sono in sospeso oltre 800.000 casi, con un tempo di attesa medio di quasi due anni. L’amministrazione Trump ha raggiunto questo numero record quando ha deciso di riaprire migliaia di casi di rimpatri non violenti che già erano in via di risoluzione.

Mentre si chiede ai richiedenti asilo di pagare delle tasse al momento della richiesta dei permessi di soggiorno in Usa, ai migranti che sono entrati o hanno tentato di entrare illegalmente negli Stati Uniti verrà, invece, vietato il permesso di lavoro temporaneo.

«C’è una ragione anche pragmatica se diamo alle persone dei permessi di lavoro mentre sono in attesa di asilo – ha dichiarato al New York Times Michelle Brane, il direttore dei diritti dei migranti e della giustizia presso la Commissione per le donne rifugiate – è per fare in modo che possano mantenere se stessi e le loro famiglie e non debbano richiedere una seconda assistenza al governo per tutta la durata del periodo di attesa».