Il consigliere per la sicurezza nazionale Usa John Bolton non è certo il tipo da nascondere la sua idea delle “cose da fare” in Medio oriente. Pugno duro, sempre, con gli avversari e se non basta si passa alla guerra. E Israele è il perno della strategia dell’Amministrazione Trump nella regione, ha ribadito nei passati due giorni trascorsi in visita a Gerusalemme. Venti anni fa Bolton puntava il dito contro l’Iraq e sappiamo come è andata a finire. Oggi il nemico numero uno è l’Iran. I colloqui che ha avuto con il premier israeliano Netanyahu perciò sono stati una sorta di consiglio di guerra preliminare. Al termine Bolton ha ribadito che gli Usa hanno come alta priorità quella di prevenire l’Iran dall’ottenere armi atomiche. Un paradosso visto che gli Usa puntano a far crollare l’accordo internazionale del 2015 sul programma nucleare iraniano che punta a prevenire qualsiasi tentazione di Tehran di dotarsi di ordigni atomici.
Netanyahu è incantato da tanta disponibilità. Da un anno e mezzo gli Usa fanno esattamente ciò che desidera il suo governo. Una svolta dopo anni di dissapori con Barack Obama che aveva di fatto riconosciuto all’Iran il ruolo di potenza regionale e dato luce verde all’accordo del 2015 incurante della contrarietà di Israele. Un passo che poi aveva compensato garantendo a Tel Aviv nei prossimi anni un sostegno militare per decine di miliardi di dollari. Netanyahu lunedì ha ringraziato Trump per le sanzioni all’Iran e ha aggiunto che la visita di Bolton è stata di grande importanza perché permetterà a Israele e Usa di coordinare ancora di più le loro posizioni.
Bolton ora è atteso a Ginevra dalla sua controparte russa, con cui discuterà di uscita totale, come chiede Israele, dalla Siria dei consiglieri militari e dei combattenti iraniani. La (futura) guerra, per ora non combattuta, all’Iran passa per Damasco. Stando alle indiscrezioni di fonti ben informate, Washington sarà chiara su di un punto: la presenza di Cia e militari americani in Siria cesserà solo se Tehran richiamerà tutte le sue forze. Per questo Damasco, nei colloqui in corso con i rappresentanti politici curdi, insiste su un punto: l’autogoverno e l’automomia del Rojava dipendono dall’uscita degli americani dal territorio settentrionale siriano controllato dalle formazioni combattenti curde e dalla cessazione di una ogni forma di cooperazione curda con l’Amministrazione Trump.
Da parte sua Tehran guarda vertice di settembre con Russia e Turchia per capire se potrà arrivare alla formazione un fronte comune contro la strategia di Usa e Israele, superando la linea altalenante di Ankara che da un lato prende le distanze dagli americani, come in questo periodo, e dall’altro si guarda dal recidere il legame con Washington.