La domanda, alla vigilia del 7 settembre più burrascoso della storia recente del Brasile, se la sono posti in tanti: fino a quando saranno tollerati gli attacchi alla democrazia? Come può un presidente sfruttare la festa dell’Indipendenza – e tenere tutto il paese con il fiato sospeso – per minacciare esplicitamente le istituzioni dello stato?

NEI PRIMI DUE DISCORSI tenuti nella giornata di ieri – nel momento in cui scriviamo le manifestazioni sono ancora in corso – Bolsonaro ha scelto di tenere alti i toni: «Continuerò a muovermi all’interno delle quattro righe della Costituzione, ma a partire da ora non ammetterò che altre persone, una o due, operino al di fuori di queste», ha dichiarato nella cerimonia del saluto alla bandiera di fronte al Palácio da Alvorada, residenza ufficiale della presidenza.

«Una o due», e cioè il ministro della Corte suprema Alexandre de Moraes, nei confronti del quale aveva già presentato, senza successo, una richiesta di impeachment per «aver superato le prerogative costituzionali», e il presidente del Tribunale superiore elettorale Luis Roberto Barroso, accusato di aver ostacolato la sua offensiva, anch’essa fallita, per l’introduzione del voto cartaceo.

E contro Moraes Bolsonaro si è scagliato anche nel suo discorso ai sostenitori nella Esplanada dos Ministérios, al centro di Brasilia, già invasa alla vigilia da pullman e camion di bolsonaristi, lasciati entrare dalla polizia militare malgrado il blocco posto a difesa della Praça dos Três Poderes.

 

I sostenitori di Bolsonaro a Rio, foto Ap

 

«NON POSSIAMO AMMETTERE che una persona metta a rischio la nostra libertà», ha dichiarato il presidente di fronte a 20-30mila simpatizzanti: «O il capo del potere giudiziario interviene o questo potere può andare incontro a ciò che noi non vogliamo», ha proseguito, esortando il presidente della Corte suprema Luis Fux, a interferire – e sarebbe incostituzionale – nelle decisioni di Moraes. Aggiungendo che avrebbe convocato (per oggi) il Consiglio della Repubblica, un organo consultivo chiamato a deliberare nei momenti di crisi.

I sostenitori di Bolsonaro a San Paolo, foto Ap

Ma, al di là dell’attacco a Moraes e Barroso, Bolsonaro ha tentato ieri il tutto per tutto per uscire dall’angolo (con quale risultato si vedrà nelle prossime ore). Perché tutto sembra andargli storto: le inchieste giudiziarie contro di lui e la sua famiglia, con i figli Flávio e Carlos immersi fino al collo nello scandalo dell’appropriazione indebita dei salari di impiegati fantasma; l’inflazione, la disoccupazione, il ritorno della fame e una delle peggiori crisi idriche della storia del paese, con tanto di rischio di razionamento dell’energia elettrica; gli oltre 583mila morti della pandemia, rispetto ai quali le responsabilità del suo governo sono riconosciute dal mondo intero; e infine i sondaggi che fotografano impietosamente il crollo della sua popolarità, con il 62% degli intervistati che non voterebbe per lui alle prossime elezioni e l’ex presidente Lula che lo batterebbe in maniera netta, 55% contro 30%.

IN QUESTO QUADRO, Bolsonaro ha cercato una prova di forza, contando in particolare sul sostegno di pastori evangelici, polizia militare e militari di riserva (ma anche quelli in servizio attivo, malgrado il divieto di partecipare ad atti politici): portare nell’Avenida Paulista a São Paulo una folla oceanica – e magari superiore a quella delle manifestazioni “Fora Bolsonaro” previste in 160 città – come una sorta, ha detto, di «fotografia per il mondo», la prova di potere ancora controllare tutto. Ma sulle reti sociali già si comincia a parlare di flop: il «mare di gente» al momento non si è visto.