Tra apologie del regime militare, elogi dei torturatori, plagi di Goebbels, minacce velate di golpe ed evocazioni di un nuovo AI-5 – l’Atto istituzionale che, nel 1968, ha dato avvio alla fase più brutale della dittatura –, il governo Bolsonaro non si è fatto mancare nulla.

Tuttavia, parlando domenica a un folto gruppo di sostenitori che di fronte al comando generale dell’esercito a Brasilia invocavano l’intervento militare e la chiusura del Congresso, il presidente ha osato più di quanto avesse mai fatto prima. «Ha attraversato il Rubicone», ha commentato non a caso il presidente degli Ordine degli avvocati Felipe Santa Cruz.

Violando per l’ennesima volta le misure di quarantena e il divieto di assembramenti, Bolsonaro senza mascherina ha deliziato i nostalgici della dittatura con un discorso carico di velate minacce: «Non vogliamo negoziare nulla. Ciò che era vecchio è passato. Abbiamo un nuovo Brasile dinanzi a noi», ha esordito parlando in piedi su un pick up, tra un colpo di tosse (secca) e l’altro.

E ancora: «Contate pure sul vostro presidente per fare tutto ciò che sarà necessario per mantenere la nostra democrazia e garantire ciò che vi è di più sacro, la nostra libertà».

E infine: «Tutti in Brasile devono capire di essere sottoposti alla volontà popolare. Sono certo che noi tutti un giorno faremo tutto ciò che sarà possibile per cambiare il destino del Brasile. Basta con la vecchia politica».

Nell’ondata di reazioni di sconforto seguite come di consueto alle sue parole, persino Luis Roberto Barroso – il giudice della Corte suprema tra i più vicini alla Lava Jato e più ferocemente anti-Lula – è voluto intervenire, dicendosi spaventato dalle invocazioni golpiste e dagli elogi della dittatura, con tanto di citazione di Martin Luther King sulla gravità del «silenzio dei buoni», benché lui stesso abbia preferito tacere in relazione alle parole di Bolsonaro.

Nulla invece ha avuto da dire il nuovo ministro della Salute Nelson Teich: né sull’assembramento di fronte al comando generale dell’esercito in piena quarantena, né sul fatto che vi abbia preso parte il presidente, in un momento in cui il paese ha superato i 39mila contagi e i 2.400 decessi.

Si è fatto sentire invece il presidente della Camera Rodrigo Maia, che ha ricordato come in piena pandemia il Brasile si trovi a lottare non solo contro il Covid-19 ma anche «contro il virus dell’autoritarismo».

Neanche lui, tuttavia, mostra di preoccuparsi più di tanto per i ripetuti attentati alla Costituzione da parte del presidente, se è vero che non un solo segnale ha inviato finora riguardo alla possibilità di accogliere una delle tante (almeno 17) richieste di impeachment – tutte fondate su solidissime argomentazioni – che continuano ad accumularsi presso la presidenza della Camera dei deputati.

E ciò benché, con gli affondi antidemocratici di Bolsonaro che salgono di livello e gli strappi alla democrazia che si susseguono senza conseguenze, risulti sempre più evidente che l’indignazione verbale non basta più, per quanto dure e corali possano essere le reazioni dei «buoni».