In Brasile, c’è chi l’ha definita come la «guerra lampo» di Bolsonaro. E in effetti, nei primi due giorni del suo governo, sono stati sferrati attacchi decisivi contro i «nemici della patria, dell’ordine e della libertà» evocati nel suo discorso al Congresso. Chi siano questi nemici lo ha chiarito subito, riducendo, qualche ora dopo il grottesco show del suo insediamento, il valore del salario minimo già approvato dal Congresso nazionale da 1006 a 998 reais e, di seguito, prendendo di mira le fasce più povere e vulnerabili.

UN COLPO MORTALE è stato inferto ai popoli indigeni, mandati direttamente in pasto ai leoni. Con un provvedimento provvisorio relativo alla riorganizzazione dei ministeri, Bolsonaro ha infatti sottratto alla Funai, la Fondazione nazionale per gli indigeni, la responsabilità dell’identificazione e della demarcazione delle aree indigene, affidandola al Ministero dell’Agricoltura e, dunque, di fatto, alla potente lobby dell’agribusiness.

Sarà allora la ministra Tereza Cristina, la «musa dei pesticidi» già a capo della bancada ruralista al Congresso, a occuparsi – è superfluo dire in che modo – delle terre indigene e quilombolas, assumendo inoltre il comando del Servizio forestale brasiliano responsabile della gestione delle riserve naturali e delle foreste. Un requiem per i popoli originari e afrodiscententi e per l’ambiente.

«CHE L’ATTACCO SIA INIZIATO con i popoli indigeni ha una valenza simbolica», ha commentato la sociologa e leader indigena Avelin Buniaca, del popolo Kambiwá, «poiché noi siamo tutto ciò che loro non vogliono per il nostro paese».

Un attacco, peraltro, ampiamente previsto, considerando le dichiarazioni rilasciate da Bolsonaro non solo in campagna elettorale – «Nemmeno un centimetro quadrato in più agli indios» – ma anche pochi giorni prima dell’inaugurazione del suo mandato, quando l’ex capitano ha preso di mira nientedimeno che la madre di tutte le demarcazioni, quella dell’area indigena Raposa Serra do Sol (omologata nel 2005 dal presidente Lula dopo una lotta di oltre trent’anni), auspicando un suo «sfruttamento razionale». Non è stato risparmiato, nel provvedimento provvisorio, neppure il Ministero del Lavoro, le cui funzioni sono state suddivise tra quello della Giustizia e della Pubblica Sicurezza – come se il lavoro fosse una questione di polizia – e quelli dell’Economia e della Cittadinanza, mentre è stato semplicemente eliminato quello della Cultura, verso cui il nuovo regime rivela un’evidente allergia.

Né si è salvato il Consiglio nazionale di sicurezza alimentare e nutrizionale, impegnato nella difesa di un’alimentazione sana, non industrializzata e libera da veleni chimici, del resto chiaramente incompatibile con la politica agricola della «musa dei pesticidi». Con il Ministero dei Diritti umani accorpato a quello della Donna e della Famiglia sotto la guida della pastora evangelica Damares Alves (la stessa che ha detto di aver visto Gesù ai piedi di un albero di goiaba), la popolazione Lgbt è scomparsa per incanto dalle politiche di promozione dei diritti umani, in «un paese che uccide più Lgbt al mondo», come ha ricordato la leader del PCdoB Manuela D’Avila.

E LO STESSO DESTINO, all’interno del Ministero dell’Educazione, è stato riservato alla Segreteria dell’educazione continua, dell’alfabetizzazione, della diversità e dell’inclusione, con cui scompaiono dall’agenda scolastica i temi dei diritti umani, dell’educazione interculturale e del concetto stesso di diversità. Ad annunciarlo è stato il ministro Ricardo Vélez Rodriguez, paladino dei «valori tradizionali della società», indicato espressamente da Olavo de Carvalho, guru de Bolsonaro, nella sua personale crociata contro il «sacerdozio delle tenebre»: marxismo, psicoanalisi, esistenzialismo, teologia della liberazione, relativismo morale, culturale ed etico. «Formare cittadini per il mercato del lavoro – ha commentato Bolsonaro su Twitter -: la prospettiva opposta a quella dei governi precedenti, i quali miravano consapevolmente alla formazione di menti schiave delle idee di dominazione socialista».

E MENTRE IL NUOVO PRESIDENTE ha ammesso di essere arrivato alla presidenza con l’aiuto del comandante dell’esercito, il generale Eduardo Villas Bôas non senza un’inquietante allusione a un accordo segreto tra i due («Generale, ciò di cui abbiamo parlato resterà tra noi»), il regime neofascista ora al potere dà il via alla sua caccia alle streghe, a cominciare dai lavoratori precari della pubblica amministrazione sospettati di essere del Pt: come ha rivelato su O Globo l’editorialista Ascânio Seleme, chiunque abbia postato sulle reti sociali qualcosa che abbia a che vedere con «Ele não», «Fora Temer» e persino “Marielle vive” rischierà il posto.