Cresce come una valanga la pressione internazionale sul Brasile di Bolsonaro, dopo più di due settimane in cui le fiamme hanno divorato l’Amazzonia in un silenzio praticamente indisturbato.

A scendere in campo è stato lo stesso segretario generale delle Nazioni unite Antonio Guterres, che, su Twitter, si è detto «profondamente preoccupato» per gli incendi, esortando a proteggere la più grande foresta pluviale del mondo: «Nel mezzo della crisi climatica globale, non possiamo permettere altri danni a una fonte importante di ossigeno e di biodiversità». Ma sono soprattutto i già non idialliaci rapporti di Bolsonaro con l’Europa a rischiare di deteriorarsi ulteriormente.

Dopo la decisione del governo tedesco e di quello norvegese di sospendere i finanziamenti al Fondo Amazzonia, un pesante attacco al presidente brasiliano è stato sferrato anche da Emmanuel Macron, costretto dalle proteste a inserire nell’agenda del vertice che si apre oggi a Biarritz la discussione su tale «emergenza»: «La nostra casa sta bruciando. Letteralmente. La foresta amazzonica, i polmoni che producono il 20% dell’ossigeno del pianeta, è in fiamme. È una crisi internazionale», ha spiegato Macron, annunciando per di più l’intenzione di opporsi all’accordo tra Ue e Mercosur.

PUNTUALE È ARRIVATA la replica di Bolsonaro, che ha accusato Macron di cedere al «sensazionalismo» per «interessi politici personali»: «Il suggerimento del presidente francese di discutere al G7 della questione dell’Amazzonia senza la partecipazione dei paesi della regione evoca una mentalità colonialista del tutto fuori luogo nel XXI secolo».

Un messaggio, questo, apparso nel profilo Twitter di Bolsonaro, ma evidentemente non scritto da lui, essendo com’è noto lo stile del presidente decisamente più grossolano.

Tuttavia, dopo essersi ironicamente paragonato a Nerone, aver liquidato il disastro come un evento normale nella stagione secca, escluso l’impiego dei militari e accusato le ong di essere responsabili degli incendi, Bolsonaro ha ora annunciato il possibile ricorso alle forze armate e sollecitato i produttori rurali a denunciare i roghi illegali all’Ufficio di sicurezza istituzionale del ministro Augusto Heleno, lo stesso che a luglio aveva dichiarato alla Bbc che «gli indici di deforestazione in Amazzonia vengono falsificati».

Nella serie di sciagurate dichiarazioni governative, non è stata comunque da meno quella del ministro della Casa civile Onyx Lorenzoni, il quale, ai giornalisti che gli chiedevano se si sarebbe recato nei luoghi degli incendi, ha risposto di avere un impegno «più importante», accusando inoltre i paesi europei di strumentalizzare la questione dell’ambiente per minare «i principi capitalisti» e ostacolare «la crescita e il commercio di beni e servizi del Brasile».

LE FIAMME, INTANTO, AVANZANO in maniera implacabile, propagandosi anche al Pantanal, la più grande zona umida del mondo situata tra Mato Grosso, Mato Grosso do Sul, Bolivia e Paraguay e abitata da un numero impressionante di specie di flora e di fauna, tra cui 263 specie di pesci, 463 di uccelli e una popolazione di coccodrilli stimata tra i 15 ai 50 milioni di esemplari. E, con l’arrivo dell’estate amazzonica, si teme che gli incendi possano estendersi anche più a nord, raggiungendo il Parco nazionale del Tumucumaque e le altre aree protette della vasta riserva naturale nota com Renca (Reserva Nacional do Cobre e Associados), tra gli stati del Pará e dell’Amapá.

DI FRONTE AL DISASTRO, mentre l’hashtag #BoycottBrazil si diffonde su Twitter e si annunciano proteste in diverse città brasiliane, personalità di tutto il mondo uniscono la propria voce al coro di denunce, da Lewis Hamilton a Cristiano Ronaldo, da Madonna a Leonardo di Caprio, dalla modella Gisele Bündchen fino alla squadra di calcio del Corinthians. Mentre dal Guardian giunge un invito accorato ai leader mondiali: quello a salvare il Brasile dal «suicidio» bolsonarista.

Se tuttavia il mondo intero si schiera contro Bolsonaro, in Bolivia – dove le fiamme hanno ormai divorato quasi 750mila ettari di foresta tra i dipartimenti di Santa Cruz e Beni – neppure Evo Morales viene risparmiato dalle critiche. Impegnato in campagna elettorale in vista delle presidenziali del 20 ottobre, il presidente – noto a livello internazionale come difensore dei diritti della «Madre Terra», ma criticato internamente per l’impulso dato al modello estrattivista a scapito degli ecosistemi locali – viene accusato di non essere intervenuto in maniera tempestiva, minimizzando la tragedia in corso.

E di essersi deciso solo ora a chiedere aiuto, noleggiando un Boeing 747 Supertanker, proveniente dalla California, in grado di trasportare fino a 115mila litri d’acqua a ogni passaggio. Ma oltre ad aver sottostimato il disastro, parlando di «sfruttamento mediatico» degli incendi, Morales è accusato di qualcosa di non meno grave: la promulgazione del decreto 3973, con cui ha autorizzato «roghi controllati» proprio a Santa Cruz e in Beni, allo scopo – denunciano organizzazioni indigene e ambientaliste – di ampliare le monocolture di soia e canna da zucchero e i pascoli per l’allevamento, a vantaggio molto più del settore dell’agribusiness che – come sostiene il governo – delle famiglie di piccoli agricoltori.