La sua piazza Maggiore l’aveva conquistata qualche anno fa, nel 2010, quando gli Skiantos erano stati invitati a tenere il tradizionale concerto del 15 agosto nel luogo centrale simbolo di Bologna. Per Roberto Freak Antoni era stata la consacrazione istituzionale, dopo decenni trascorsi a ridere del mondo e di una città, il capoluogo emiliano, dove, negli anni ’70, la sua storia personale di studente al Dams alle prese con una tesi di laurea sui Beatles si era mescolata con i rumori rock dei Gaznevada e con i disegni di Andrea Pazienza e Filippo Scozzari in quel caotico laboratorio di «immaginazione al potere» che era la Traumfabrik, a pochi metri proprio da piazza Maggiore, il luogo dove nacque l’avventura di Frigidaire e dove il ’77 provò a esprimere il suo migliore versante artistico.

Qui, forse più che in ogni altro posto, Freak Antoni riuscì a sperimentare quella moltiplicazione di personalità che lo ha caratterizzato sino alla fine. Passando con disinvoltura dalle serate ormai entrate nella leggenda come il festival Bologna Rock del 1979, dove con i suoi Skiantos piuttosto che suonare si mise a cuocere la pasta alle «Recensioni di superficie», dove, in anticipo sui tempi, parlava di un disco, raccontandolo a partire dalla forma (la copertina) invece che dal contenuto (la musica). Soprattutto, il suo essere diventato una parte importante del «panorama» culturale bolognese, lo divertiva e inorgogliva, spingendolo ad accettare ogni invito, dall’incontro super underground con i gruppi rock emergenti, alla presentazione del libro di un musicologo inglese.

Insomma, Bologna sapeva di poter contare su di lui, i concerti degli Skiantos erano una di quelle occasioni in cui si rivedeva una «tribù» ormai sempre più labile, eppure così importante per le trasformazioni sociali a cui ha contribuito. Insieme a un pubblico di giovanissimi per i quali testimoniava il periodo più bello e vivace della città, la nascita del nuovo rock italiano emerso in contemporanea con ciò che succedeva nei club inglesi.

Ma quello che più colpiva di Freak Antoni era un inattaccabile desiderio di conquistare un futuro artistico sempre alle porte. Pronto a partecipare a ogni nuovo progetto, a salire sul palco del più piccolo, inospitale locale per interpretare un personaggio inedito, a discutere sull’ennesimo scioglimento e l’inevitabile reunion degli Skiantos.

La sua Bologna più vera era da un lato, quella che non c’è più, se non nelle ricostruzioni storiche: quella soprattutto dell’amico di allora Andrea Pazienza che, in una conversazione aveva ricordato, raccontando le giornate trascorse insieme nella casa del disegnatore a Borgo Panigale a preparare percorsi nella città, per individuare quei posti che poi sarebbero entrati nelle tavole di saghe capolavoro, come Zanardi e Pentothal. C’era anche l’idea di una copertina, poi mai realizzata per un cd degli Skiantos. Dall’altro, Roberto Freak Antoni era un artista che viveva Bologna nel presente, sempre pronto a entrare in sala di registrazione come se fosse un adolescente appena uscito dalle cantine al quale finalmente è stata concessa l’opportunità di esordire discograficamente.

Da qualche anno aveva anche sostenuto una sua personale interpretazione della musica contemporanea «ironica», come amava definirla, con gli Ironikontemporaneo, e sicuramente aveva in mente altre incursioni a sorpresa, in un jazz club come in un centro sociale, in un teatro come in una libreria, a ricordarci che, davvero, come recitava il titolo di un suo libro, Non c’è gusto in Italia ad essere intelligenti.