Nel 2014 gli murarono l’ufficio, poi imbrattarono la porta del suo studio con vernice rossa. Due anni dopo una nuova doppia contestazione ha preso di mira Angelo Panebianco, docente alla facoltà di scienze politiche di Bologna ed editorialista del Corriere della Sera.

Se nel 2014 il protagonista fu il collettivo Hobo, due giorni fa è toccato al Cua, il collettivo autonomo universitario. Gli attivisti hanno interrotto la lezione di Panebianco facendo ascoltare ai pochi studenti presenti (che non hanno affatto gradito) registrazioni con i suoni della guerra: sirene, bombardamenti, colpi di mitra.

Ieri a raccogliere il testimone della contestazione è stata invece l’Assemblea di scienze politiche, piccolo gruppo legato ad Hobo. Il motivo delle interruzioni è sempre lo stesso: Panebianco in politica estera ha più volte preso le posizioni dei falchi più interventisti sostenendo la necessità del conflitto, in Medioriente così come in Afghanistan.

È successo anche il 14 febbraio, quando in un editoriale ha bollato i «buoni sentimenti pacifisti» come un «lusso» che l’Italia non può più permettersi. Da qui la contestazione, con gli studenti che gli hanno dato del guerrafondaio e in un’occasione dell’«assassino», ripetendo: «Tu non devi parlare».

Istituzioni e politica hanno solidarizzato con Panebianco, difendendo la sua libertà di espressione.

Romano Prodi ha bollato l’azione come «vecchi riti», «una roba da matti, un’infamia». Al docente la solidarietà della politica nazionale, da Casini al presidente dei senatori del Pd Luigi Zanda.

La procura di Bologna ha fatto sapere che procederà per interruzione di pubblico servizio, mentre l’Alma Mater potrebbe valutare provvedimenti disciplinari.

Il collettivo universitario autonomo ha ripreso il discorso in un comunicato, ricordando come l’università non sia «un territorio neutro, una Torre d’avorio della cultura come feticcio positivista». «Da sempre – ha scritto il Cua – è anzi terreno di scontro e di contesa politica».

«Un tempo era ’contestare’ un docente. A Bologna era prassi frequente persino negli ’80. Oggi è ’aggredire’ – hanno invece scritto i Wu Ming su Twitter – La lingua accerchia il dissenso. C’è proprio disabitudine all’idea che qualcuno sia contro la guerra e chi la sostiene».