In Italia per decenni la volontà politica e le risorse pubbliche (gli investimenti, il lavoro degli uffici tecnici, lo spazio urbano) sono stati concentrati a favore della mobilità privata a motore, con una prima solo recente inversione di tendenza. I danni del modello auto-centrico sono evidenti: le città, la cui aria doveva renderci liberi, sono irrespirabili e invivibili, per congestione, smog, rumore, incidenti, occupazione di suolo.

Occorre un nuovo paradigma, basato su un’idea forte per guidare il cambiamento: provo a proporne una. Nel ‘900 la sfida è stata la «redistribuzione della ricchezza», tra chi ne ha di più (i ricchi) e chi ne ha di meno (i poveri). Siamo lontani dall’averla vinta, ma intanto il nuovo millennio lancia la nuova sfida decisiva per la qualità di vita, con l’aumento della popolazione nelle aree urbane: potremmo chiamarla la «redistribuzione dello spazio pubblico», da chi ne ha di più (le auto) a chi ne ha di meno (le persone). Dalla città pubblica di fatto privatizzata, alla città di nuovo di e per tutti. Siamo di fronte a una questione profondamente politica e democratica, che interroga anzitutto la sinistra. Lo spazio è una risorsa pubblica, limitata: la sua ripartizione tra i cittadini è una scelta intrinsecamente politica, che spetta a chi governa, ed esprime la sua idea di società, di città, più o meno equa e giusta.

La politica, in particolare di sinistra, dovrebbe avere il coraggio di esprimere e attuare con coerenza una visione chiara, di nuova democrazia urbana, egualitaria e redistributiva, nella mobilità delle città. Cioè, progressivamente, togliere spazio al traffico motorizzato, che detiene quasi ogni metro di strade e piazze, riducendo carreggiate e parcheggi, per restituirne finalmente un po’ a pedoni, ciclisti e trasporti pubblici, ampliando marciapiedi e isole pedonali, ricavando corsie ciclabili e per tram e bus. Non contro, ma per. Per una mobilità più umana.

Quella in cui dai veicoli si torna invece a mettere al centro le persone. E in cui si riequilibra in modo sostenibile il tasso di utilizzo dell’auto privata e tutte le altre modalità, a più basso impatto ambientale e a più alta efficienza nell’uso dello spazio scarso, facendo alla fine spostare e vivere meglio tutti. Per città più democratiche. Dove anche i cittadini che si muovono senz’auto hanno attenzione, diritti, spazio, sicurezza. Dove l’interesse generale, a un sistema di mobilità più equilibrato e funzionale al benessere della collettività, vale più dei singoli, abbattendo costi sociali, economici e ambientali.

E’ questa visione di fondo che ha guidato il mio impegno da assessore alla Mobilità di Bologna negli scorsi anni. Ma i passi in avanti importanti compiuti dalla città non sarebbero stati possibili senza un’inedita stagione di riconoscimento reciproco e collaborazione fra associazioni e Comune. La nascita della Consulta della bicicletta come organismo ufficiale è stata il simbolo e lo strumento di incontro fra rivendicazioni dal basso, maturate in progettualità, e volontà politica, decisa per una volta a orientare i tecnici e le risorse. E’ solo grazie a quest’alleanza che siamo riusciti a realizzare progetti decisivi per far fare uno scatto alla cultura e alla pratica della ciclabilità: infrastrutture, servizi, comunicazione. Come la «Tangenziale delle bici», l’anello di 10 km che ha messo in rete le piste esistenti, ma che, ancor più, insieme a Fiab e Legambiente, ci ha consentito di dare alle due ruote la dignità piena di mezzo di trasporto nell’immaginario collettivo. O la «Velostazione Dynamo», mille metri quadri di servizi per ciclisti urbani e cicloturisti, ma anche un suggestivo spazio pubblico per tutti, ideato e gestito da Salvaiciclisti, con cui abbiamo dimostrato che la bici è molto più che mobilità: è comunità, è economia.

Più di recente, quella stagione sembra aver rallentato e per molti versi segnato un’inversione di rotta. Il Biciplan, pronto da approvare, è chiuso in un cassetto da un anno e mezzo. Intanto all’ordine del giorno ci sono corsie preferenziali eliminate in nome dei «tempi di vita» (evidentemente di chi si sposta in auto e moto, a scapito di autisti e utenti dei bus), e una crociata simbolica per educare e multare, con vigili in borghese, «ciclisti selvaggi» e «pedoni distratti» (lanciata mentre raddoppiano le vittime tra gli utenti più vulnerabili della strada). Al punto che, lo scorso 1 aprile, tanti hanno creduto alla notizia diffusa su Facebook, Vietate le bici in centro storico, ostacolano la fluidità del traffico: un pesce d’aprile virale, diventato addirittura verosimile nel clima bolognese attuale.
L’attivismo di associazioni e gruppi locali e l’impegno di alcuni assessori e consiglieri non bastano più. La mobilità sostenibile nelle città deve entrare nelle priorità dell’agenda nazionale anche nella nuova legislatura. E la politica – lo dico da amministratore pubblico e da cittadino – oggi ha bisogno anche di una spinta gentile dalla comunità, per convincersi a dare priorità, spazio e sicurezza a pedoni, ciclisti e trasporti pubblici. Per questo è importante essere in tante e tanti sabato a Roma.

* ex Assessore alla mobilità e ora consigliere del Comune di Bologna