Molte e rilevanti sono state le novità di questi ultimi mesi sulla strage di Bologna del 2 agosto 1980, la più grave e sanguinosa nella storia della Repubblica: 85 morti e 200 feriti.

Prima, il 9 gennaio scorso, è arrivata, dopo 52 udienze e due anni di dibattimento, la sentenza in primo grado emessa dalla Corte d’assise di Bologna di condanna all’ergastolo per l’ex Nar Gilberto Cavallini, per concorso in strage con Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, già sentenziati in via definitiva. Poi, il 10 febbraio, l’avviso di conclusione delle indagini da parte della Procura generale di Bologna per la nuova inchiesta apertasi sui possibili mandanti, seguito, il 19 maggio, dalla richiesta di rinvio a giudizio per Paolo Bellini, ex Avanguardia nazionale, quale ulteriore esecutore, per l’ex capitano dei carabiniere Piergiorgio Segatel e l’ex capo del Sisde (il servizio segreto interno) di Padova Quintino Spella, accusati entrambi di aver ostacolato le indagini.

In questo ambito sono stati individuati come mandanti e finanziatori della strage: Licio Gelli, Umberto Ortolani, Umberto Federico D’Amato (per 20 anni al vertice dell’Ufficio affari riservati) e Mario Tedeschi (ex senatore missino e direttore de Il Borghese), tutti iscritti alla P2, non più perseguibili in quanto ormai defunti.

GIÀ NEL PROCESSO a Gilberto Cavallini erano stati riscontrati alcuni fatti di notevole importanza. Tra questi, i rapporti intercorsi tra le nuove leve del terrorismo nero, segnatamente i Nar, e i vecchi dirigenti di Ordine nuovo (fra loro Carlo Maria Maggi, condannato per la strage di Brescia del 1974) e quelli di Avanguardia nazionale, ma soprattutto il possesso da parte dei Nar di decine di tesserini ufficiali dei carabinieri forniti dal colonnello Giuseppe Montanaro appartenente alla P2, nonché la disponibilità da parte di Cavallini di numeri telefonici in uso all’ufficio Nato presso la sede della Sip di Milano.

Ora, da ciò che è trapelato dalla documentazione raccolta dalla Procura generale di Bologna, si sarebbe arrivati alle prove dell’avvenuta regia da parte della P2 nell’organizzare la strage e gli innumerevoli successivi depistaggi, architettando false piste soprattutto internazionali per proteggere i Nar. In questo ambito sono stati acquisiti i riscontri dei finanziamenti dell’intera operazione, prima e dopo il 2 agosto, elargiti a più riprese a partire dal febbraio 1979.

Milioni di dollari (quasi 15) che, scandagliando gli atti del processo per il crac del Banco Ambrosiano, la Guardia di finanza ha accertato essere provenienti da conti correnti svizzeri di Gelli. Solo da uno di questi, presso la Banca Ubs di Ginevra, rintracciato grazie a un manoscritto sequestrato allo stesso Gelli al momento del suo arresto in Svizzera nel 1982, e significativamente denominato «Bologna», sarebbero usciti 5 milioni di dollari. Uno di questi sarebbe stato addirittura consegnato in contanti dallo stesso Gelli, pochi giorni prima della strage, ai neofascisti.

I SOLDI SONO QUELLI del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, la «cassa» della P2, che sarebbero dunque serviti a finanziare anche i fascisti che eseguirono la strage, un commando più numeroso del solo gruppo di Fioravanti e Mambro, composto da elementi provenienti anche da Terza posizione e Avanguardia nazionale, tra loro Paolo Bellini, sicario della ’ndrangheta, nonché collaboratore di giustizia e reo confesso dell’assassinio, il 12 giugno 1975, del militante di Lotta continua Alceste Campanile. Il volto di Bellini è impresso in un filmato in Super 8 girato da un turista svizzero pochi istanti dopo l’esplosione della bomba. Un filmato in possesso fin dal 1985 dell’ufficio istruzione di Bologna. A riconoscerlo nelle immagini, anche la ex moglie.

La nuova inchiesta e le conclusioni del processo a Cavallini dimostrerebbero che i Nar furono tutt’altro che un gruppo spontaneista, come solitamente descritti, ma letteralmente il braccio armato della P2, interni a quell’intreccio eversivo rappresentato dalla loggia segreta di Gelli, dai vertici dei servizi e di alcuni apparati, con coperture nell’ambito della Nato. A riprova della loro natura, il rinvio a giudizio, per «false dichiarazioni al fine di ostacolare le indagini», anche di Domenico Catracchia, l’amministratore per conto del Sisde delle palazzine di via Gradoli, dove al civico 96 si trovava il covo Br affittato dall’ingegner Borghi, alias Mario Moretti, dove Aldo Moro fu inizialmente tenuto prigioniero.

Si è appurato che tra il settembre e il novembre del 1981, esattamente in quella palazzina, a quel civico, si fosse installata una base segreta dei Nar. Catracchia avrebbe detto il falso negando di aver dato l’appartamento in affitto a un prestanome degli stessi Nar.

INAPPUNTABILE il manifesto preparato per il 40esimo dall’Associazione dei familiari delle vittime: «La strage – recita – è stata organizzata dai vertici della loggia massonica P2, protetta dai vertici dei servizi segreti italiani, eseguita da terroristi fascisti».