Nemmeno il Covid e il caldo asfissiante fermano la partecipazione di Bologna alla commemorazione della strage della stazione del 2 agosto 1980. Alle 10 del mattino mille persone si dispongono ordinatamente sulle sedie distanziate causa Covid che coprono a scacchiera Piazza Maggiore, il cuore della città, per ascoltare le istituzioni. Altre centinaia – con Cobas, Sgb, Rifondazione, Potere al Popolo, collettivi e anarchici – scelgono di dare vita ad un corteo e andare fino in stazione.

“Decidere di non fare il tradizionale corteo a causa del virus è una scelta di chiusura sbagliata, per questo noi marceremo comunque”, dicono gli organizzatori. “E’ qualcosa di doloroso ma necessario”, aveva già spiegato nei giorni scorsi il sindaco Virginio Merola. Una piazza e un corteo divisi fisicamente quelli di oggi, ma uniti, come ormai succede da 40 anni ogni 2 agosto, nella ricerca di verità e giustizia per la bomba fascista che uccise 85 persone e ne ferì 200. 

“Questa è una storia che ci riguarda tutti e il cui finale dipende da tutti noi”, dice dal palco Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione dei famigliari delle vittime. Associazione che quest’anno ha riassunto così la storia della bomba: “La strage è stata organizzata dai vertici della loggia massonica P2, protetta dai servizi segreti italiani, eseguita da terroristi fascisti”. Mentre Bolognesi parla gli automobilisti che passano per la A14 diretti verso la Romagna e più a sud vedono lo striscione “2 Agosto 1980. Strage fascista, strage di Stato”. “La memoria è un ingranaggio collettivo”, rivendica il centro sociale Vag61. 

Una giornata speciale, questa che ricorda la strage 40 anni dopo, perché per la prima volta l’individuazione dei mandati della strage non è più utopia. Gli esecutori materiali sono stati individuati e condannati: con sentenza definitiva i terroristi neri Mambro, Fioravanti e Ciavardini. In primo grado a gennaio si è aggiunto il lorosodale Gilberto Cavallini.

Verità storica sono ormai anche i depistaggi, che coinvolsero da subito pezzi deviati dei servizi segreti. Sui mandanti invece la giustizia deve ancora esprimersi, e la speranza è che l’inchiesta della Procura generale di Bologna che in autunno si trasformerà in processo possa districare la matassa che ha legato e lega nella complicità del più grave attentato terroristico della storia italiana servizi segreti, vertici piduisti e terroristi fascisti da loro finanziati e diretti. 

In attesa delle udienze ci sono le parole delle istituzioni. Dopo la visita del Presidente Sergio Matterella degli scorsi giorni, a Bologna si presentano il viceministro dell’interno Vito Crimi e la Presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati. “Basta segreti e veli”, promette Casellati. “Quarant’anni senza verità sono un’offesa alla memoria delle vittime, ai familiari. E le sole parole che oggi hanno decenza sono le nostre scuse”, dice Crimi promettendo una nuova direttiva per la desecretazione degli atti che superi l’inefficace “direttiva Renzi” del 2014.

Ad ascoltare Crimi i tanti che 40 anni fa persero parenti e amici, uccisi dalla bomba che devastò la sala d’aspetto di seconda classe della stazione dei treni di Bologna, da oggi intitolata proprio “2 Agosto 1980” in ricordo delle vittime della strage. 

“Le scuse del governo le ho sentite, ma non mi fanno effetto”, dice Maurizio Mannocci, che il 2 agosto 1980 a Bologna perse la madre Lina, mentre il padre Rolando rimase invalido a vita con il corpo devastato. A ricordarsi tutto come fosse successo ieri (“una fiammata, il crollo, il grigio della polvere e poi il silenzio irreale spezzato dalla sirena della prima ambulanza”) è Roberto Castaldo, all’epoca ferroviere di 28 anni. 

L’esplosione, i pezzi di muro che venivano giù e che colpivano chi non era stato subito falciato: “Presi in braccio un uomo col cranio schiacciato e lo portai alla prima ambulanza. Mi dissero: “Lascialo lì, è morto e non c’è tempo”. Quel giorno caricai i feriti sul bus 37 che faceva la spola con l’ospedale, e quando non ci fu più nessuno da soccorrere passammo ai cadaveri”. A piangere ancora e ancora, quando ricorda “il lampo” che ferì lei e sua figlia Mara all’epoca 17 enne, è Mirella Cuoghi. Quel lampo non se ne è mai andato dalla sua memoria.

“La politica non deve scusarsi – dice Mirella, oggi 80 enne – deve semplicemente fare il suo dovere”. A partecipare alla giornata persone arrivate da tutta Italia. Come Luigi Viganò, milanese di 80 anni che finché ha potuto ha corso con la staffetta Milano-Brescia-Bologna, “perché le bombe fasciste uccisero ovunque”. Con lui Massimo Gatti, ex sindaco del Comune di Paullo, nel milanese.

“Nel 1987 ero un giovane primo cittadino del Pci e in piazza vidi dei signori passare correndo, mi spiegarono il perché della staffetta e da quel momento a Bologna ci sono venuto ogni anno. E’ anche grazie a persone come Luigi che la potente P2 è stata sconfitta, e con lei i suoi molti depistaggi”.