Tra colori virati e immagini graffiate che richiamano il cinema sperimentale, la giovane regista indiana Yashaswini Raghunandan restituisce nel suo film That Cloud Never Left, una riflessione profonda sul rapporto tra il suono e la luce delle immagini. Il film presentato in concorso alla 55° edizione della Mostra internazionale del nuovo cinema di Pesaro, aggiudicandosi la menzione speciale, segue la vita degli abitanti di Daspara, uno dei villaggi più poveri del Bengala occidentale, dove prendono vita giocatoli creati attraverso il riutilizzo di rifiuti e vecchie pellicole B-movie di Bollywood. Nella rarefazione dei dialoghi e nell’assenza di una sceneggiatura emerge la potenza del suono che, tra i silenzi della natura e il rumore dei giocatoli ottenuto grazie alla sezione di pellicola dove è impressa la colonna sonora dei film, sospende la vita nel villaggio e scandisce il tempo del film.

Come nasce il film?

Provengo da una città dell’India che si chiama Bangalore dove abbiamo una cultura di strada molto vivace. Tra i venditori di strada ci sono anche quelli di giocattoli variopinti che hanno attirano la mia attenzione. Un giorno ho deciso di comprarne un po’ e guardandoli meglio mi sono accorta che molti di questi giocattoli sono fatti di vecchi fotogrammi di film in pellicola 35millimetri. Così ho deciso di capire, indagare sulla storia di questi giocattoli, dove sono prodotti e come.

Quanto tempo sono durate le riprese e quali problemi hai riscontrato?

Ho acquistato e iniziato a interessarmi ai giocatoli nel 2016 e da quel momento ho intrapreso la ricercare dei fabbricanti: ho iniziato a parlare con i venditori fino a scoprire che tutti i giocattoli sono prodotti in un unico villaggio, Daspara, presso un distretto dell’India orientale dove gli abitanti hanno l’ingegno di riciclare e riutilizzare i rifiuti come le pellicole di Bollywood che dal 2006 ha smesso di utilizzare la cellulosa ed è passando al digitale. Mi sono recata lì, dove ho trascorso molto tempo insieme alle persone del villaggio e ho potuto vedere come questi fabbricanti tagliano la pellicola utilizzata per produrre il suono del giocattolo. Per quanto riguarda le difficoltà dove c’è un limite e insita, come sempre, una potenzialità: nel senso che se avessi avuto un budget più elevato tutto sarebbe andato più veloce e facile, ma non avendo molti mezzi a mia disposizione alla fine si sono presentate delle soluzioni e delle improvvisazioni incredibili durante la lavorazione del film. In più ho scoperto, in questo mio primo modo di produrre, che si scatena una grande generosità sia da parte della troupe sia da parte degli abitanti del villaggio che si sono uniti a me nel mio progetto e nella mia ambizione.

Come hai lavorato da un punto di vista della sceneggiatura, ma soprattutto da un punto di vista del suono che diventa un elemento importante nella tessitura delle immagini?

Non c’è una sceneggiatura, il film si è costruito attraverso la convivenza con le persone del villaggio e soprattutto grazie al suono. Il suono, infatti, è la parte che mi ha interessato di più: l’elemento sonoro di questi giocatoli è dato dalla pellicola, dal fotogramma che mi ha permesso di creare un panorama sonoro all’interno del film attraverso la scansione sonora di questi frammenti. La mia idea è stata quella di riprodurre, creare un vero e proprio paesaggio sonoro che riflettesse i suoni che fanno questi giocattoli quando ruotano o nel momento i cui sono lanciati come una canna da pesca, proprio perché la pellicola prende un’altra vita non è più soltanto un immagine, ma diventa suono. È stata la prima volta che ho missato un 5 punto 1 e devo dire che mi ha entusiasmato moltissimo considerando che siamo in un vero e proprio paradiso acustico, nel background occidentale. La ricchezza infinita dei suoni della natura dati dagli insetti o dagli uccelli è veramente incredibile tanto che mi sono divertita a usare la camera come se fosse un giocattolo e quindi a farla volteggiare, ruotare in modo che fosse anche testimone sonora, acustica delle immagini che riprendevo. In qualche modo il suono ci ha guidato, è riuscito a creare la traccia scritta che mancava nel momento in cui non c’è la sceneggiatura.

Abbiamo anche utilizzato le linee di perforazione della pellicola, dove si trova il suono: le abbiamo ritagliate e ci siamo divertiti a utilizzarle in una scena pseudo scientifica come rappresentazione visiva della parte sonora del film.

Gli abitanti del villaggio conoscono i film delle pellicole che riutilizzano per creare i loro giocattoli?

Quello che loro sanno è che è una pellicola 35millimetri appartenuta a un film, ma non sono in grado di distinguere qual è il film. Hanno capito insieme a me che questa serie di fotogrammi avvicinati e messi in sequenza, creano il movimento dell’immagine filmica nel momento in cui passano su uno schermo, come nella scena in cui i bambini guardano i film nel televisore: abbiamo collegato un videoregistratore a una tv ed è stato in quel momento, incredibile per loro, che si sono resi conto che nelle pellicole che ritagliano potevano riconoscere un attore bengalese, ma soprattutto è stato un momento importante quando il loro stupore derivava dal fatto che era una sequenza lunga d’immagini e in qualche modo vedessero nuovamente animato quello che non è più nel momento in cui tagliato la pellicola. Rivivere le immagini era per loro una sorta di fantasma buono.

Che camera avete utilizzato per le riprese?

Una Sony 4k. Ho scelto questa camera per la potenza dell’esposizione che mi ha permesso di riprendere tranquillamente, senza perdere la qualità dell’immagine, tutte le sequenze notturne come la luce dell’eclissi lunare che era il mio sogno poter riprendere.

Quali difficoltà economiche e sociali affronta la gente del villaggio?

La situazione socio-economica di questa regione dipende molto dal fatto che prima dell’arrivo degli inglesi era la capitale del Bengala occidentale e si trova in una posizione molto vicina all’attuale Bangladesh, quindi storicamente ha rivestito sempre un ruolo molto importante come territorio. Poi gli inglesi hanno spostato la capitale del Bengala occidentale a Calcutta e la situazione è peggiorata dopo la partizione dell’India perché a quel punto il distretto si è diviso in due: uno è andato ad appartenere al Bangladesh mentre la regione è rimasta nell’India. Questa scissione ha colpito la produzione della iuta che era la produzione principale di quest’area dell’India e il villaggio Daspara si trova nel secondo distretto più povero dell’india ma è riuscito a elaborare, nonostante la governance, una sorta di economia parallela in totale autarchia: sono capaci di produrre qualsiasi tipo di falso, produco i beedies tipiche sigarettine indiane, i bastoncini d’incenso, la coca cola e poi ovviamente devono andare a venderli, quindi molti si allontanano dal villaggio per un lungo periodo. Nessuno si prende cura di loro ma loro sono capaci di farlo benissimo da soli.

Qual è il tuo prossimo progetto?

Mi piacerebbe tanto poter girare un film d’azione.