Nelle scorse 24 ore sono stati registrati 184 mila nuovi casi positivi. Sono molti, ma nella stessa giornata, una settimana fa, erano stati 219 mila. Non è l’unico segnale che l’ondata potrebbe essere vicino a un picco. Anche i letti occupati dai pazienti Covid, almeno in terapia intensiva, sono diminuiti per il secondo giorno consecutivo.

SONO PICCOLI SEGNALI, che dovranno essere confermati nelle prossime settimane per diventare una tendenza. Anche nel migliore scenario, passerà del tempo prima che il calo si rifletta sui decessi. I 316 di ieri stanno lì a dimostrarlo: non erano così tanti dalla fine di aprile.
Il report settimanale del ministero della salute e dell’Iss arriverà solo nella serata di oggi, ma i dati a nostra disposizione permettono di anticiparne molte conclusioni. Su base settimanale, il trend è ancora in crescita da tutti i punti di vista.

L’incidenza è arrivata a 1.991 casi per 100.000 abitanti in sette giorni, il 18% in più di 7 giorni fa. Anche gli altri indicatori sulla base dei quali il governo assegna i colori alle zone segnano un peggioramento. I posti letto occupati in area medica sono il 28% (erano il 22% sette giorni fa). Quelli in terapia intensiva sono saliti dal 15% al 17%. Sulla base dei numeri odierni, la Campania dovrebbe passare in zona gialla e il Piemonte dovrebbe essere la prima grande regioni in arancione. Ai fini delle restrizioni, tuttavia, non cambia quasi nulla.

LA POSSIBILITÀ DI ANTICIPARE le analisi istituzionali è dovuta alla disponibilità dei dati giornalieri su contagi, tamponi, ricoveri e decessi. Ma il governo potrebbe decidere di limitarla nelle prossime ore. Alcuni membri del Cts, come l’infettivologo Donato Greco, e anche il sottosegretario alla Salute Andrea Costa premono perché il bollettino giornaliero sia sostituito da una più sobria comunicazione settimanale dei dati.

«Il tema – ha risposto l’altro sottosegretario alla Salute Sileri – non è la periodicità del bollettino, ma l’approfondimento dei dati senza concentrarsi esclusivamente sul numero dei casi positivi che da solo non può essere esaustivo». Sileri, a differenza del collega, di dati ne vorrebbe anche di più: «È altrettanto e forse più importante arricchire i dati con ulteriori dettagli, per esempi il numero delle infezioni asintomatiche, in modo da capire meglio la differenza tra malati e casi positivi».

LA PROPOSTA DI NASCONDERE i dati giornalieri desta molta perplessità tra gli epidemiologi. «In sanità la trasparenza dei dati è una componente della democrazia ben più rilevante dello stesso rispetto della privacy» spiega Cesare Cislaghi, ex-presidente dell’Associazione Italiana di Epidemiologia. «Questo è una difesa del singolo, quella è una difesa della società dall’eventuale arroganza e dalla possibile manipolazione del potere». Occultare i dati per proteggere i cittadini dall’ansia non sarebbe solo un’operazione paternalistica. Avrebbe anche il grave effetto di impedire analisi indipendenti dei dati aperti. Sin dall’inizio della pandemia, una miriade di enti di ricerca e associazioni ha condotto la campagna #DatiBeneComune affinché i dati sanitari fossero resi disponibili a tutti attraverso Internet.

Tra i più attivi c’è l’associazione onData, i cui attivisti-informatici, per esempio, hanno reso pubblici i numeri dei contagi nei comuni della Lombardia durante la prima ondata nonostante la regione volesse tenerli sotto lucchetto. Sono stati ancora loro a «estrarre» dai report istituzionali i dati sull’occupazione delle terapie intensive o sulla campagna vaccinale, rendendoli disponibili per studi indipendenti trascurati dalla sanità ufficiale, e a condurre molti altri progetti di «open data». «La censura dei dati mi sembra difficilmente realizzabile oggi» dice il presidente di onData Andrea Borruso. «È vero che spesso i media non hanno saputo comunicare bene i dati, ma non è una ragione sufficiente per nasconderli. In realtà, di dati ne servirebbero anche di più. E soprattutto servirebbero dati di migliore qualità».

IL PREMIER DRAGHI e il ministro Speranza per ora tacciono sulla proposta. Ma negli ultimi tempi il governo non ha brillato per trasparenza quando si è parlato di pandemia. L’obbligo vaccinale è stato promulgato senza alcuna spiegazione pubblica, se non una conferenza stampa «riparatoria» e con domande selezionate. I verbali del Cts sono tuttora inspiegabilmente secretati per 45 giorni. E da un paio di mesi anche l’incontro settimanale con la stampa del direttore dell’Iss Brusaferro e del direttore della prevenzione Gianni Rezza è stato cancellato.