Sul pianoforte che troneggia dall’angolo del corridoio della Universal di Milano, Stefano Bollani accenna qualche nota di Bobby Brown Goes Down, immediatamente riconoscibile ma lontana anni luce dai sintetizzatori «desertici» di Sheik Yerbouti, album live di Frank Zappa datato 1979. Mentre i corridoi si affollano di impiegati della Universal che, come nella migliore tradizione musical, abbandonano le loro postazioni di lavoro per avvicinarsi alle note, il pianista toscano conclude così, magicamente, la mattinata di presentazione di Sheik yer Zappa, disco live assemblato dopo un tour nel 2011 e appena pubblicato in Italia, in attesa di raggiungere il resto del mondo. «Abbiamo fatto circa otto concerti con la band ma solo di recente ho deciso di comporre un disco live, proprio come faceva lui, montando le varie tappe del tour» dichiara Bollani.

 

 

Per arrivare al disco ci sono voluti tre anni, forse a causa del timore e del riserbo che la fondazione Zappa incute da sempre nei progetti che hanno a che fare con Frank, per poi ricevere, inaspettatamente, da Gail Zappa, di solito molto rigida riguardo l’eredità del marito, l’approvazione del disco per intero, compreso il titolo e la grafica. «Una cosa assolutamente sorprendente, è la prima volta che la fondazione Zappa approva un disco con canzoni di Frank non eseguite nota per nota». Sheik yer Zappa infatti non è l’ennesimo album tributo, non ricalca le sinfonie zappiane, non cerca la facilità della celebrazione ma amplia, se possibile ancor di più, lo spirito creativo e senza confini del rocker di Baltimora. «Non volevo eseguire religiosamente i suoi brani ma, come suggerisce il titolo, prendere spunti per shakerare la sua musica con la mia. L’unica certezza era di non volere una chitarra, sarebbe stata un’impresa impossibile».

 

 

Il disco infatti sembra quasi una rivincita «pianistica», labirinto musicale forse troppo poco esplorato, sul titanismo musicale di Frank Zappa, lontano dall’universo di Bollani ma di certo simile per spirito quasi anarchico.«A Frank mi accomuna il fregarsene dei generi e il poter stare, comunque, dentro un sistema. Da ragazzino il mito della rockstar leggendaria mi insospettiva e non a caso le uniche due concessioni ’extra jazz’ che mi concedevo erano Zappa e Robert Fripp e i suoi King Crimson, musicisti onesti e sinceri per un’intera carriera». Bollani dichiara però di non essere mai stato un fan sfegatato di Zappa e per questo motivo non ha riascoltato i vecchi vinili ma semplicemente è andato memoria per poi creare, con i cinque musicisti che lo hanno accompagnato in tour, un suono completamente personale. «Non c’era una scaletta, chiunque poteva entrare con il suo strumento in qualsiasi momento, al contrario del modo di lavorare di Zappa che costringeva i suoi turnisti a imparare a memoria ogni parte musicale. Non credo che mi sarebbe piaciuto suonare insieme a lui» dice sorridendo.

 

 

Riguardo al futuro, Bollani confessa  di volere di nuovo la televisione, dopo il successo su Rai3 della trasmissione Sostiene Bollani, per poter portare ancora con orgoglio tanti musicisti a un pubblico più vasto mentre sul piano musicale uno dei suoi tanti sogni è lavorare sul repertorio di Renato Carosone: «Un idolo estetico e musicale ma anche un altro esempio, come Zappa, di maestro capace di giocare con i generi e le loro convenzioni. Ancora oggi chi lo fa è considerato un’iconoclasta».