Sembra che non ce l’abbia fatta Evo Morales a vincere le elezioni al primo turno. Per riuscirci, avrebbe dovuto ottenere il 50% più uno dei voti validi o, in alternativa, almeno il 40% con una differenza di dieci punti sul secondo classificato.

Con circa il 90% dei voti scrutinati – quando tuttavia manca ancora una parte del voto rurale, favorevole al presidente – si sarebbe fermato al 45,2% – rispetto all’oltre 60% delle presidenziali del 2014 – contro il 38,1% dell’ex presidente Carlos Mesa.

Il presidente ha ringraziato la popolazione per il risultato ottenuto, che consente tra l’altro al suo Movimiento Al Socialismo (Mas) di mantenere il controllo del Parlamento, ma, se il risultato dovesse essere confermato, ora per lui la situazione si farebbe decisamente più complicata. Non tanto a causa del cospicuo calo di consensi rispetto al 2014, in fondo comprensibile rispetto allo scontato logoramento prodotto da una prolungata permanenza ai posti di comando, quanto per il fatto che, per la prima voltasi troverebbe costretto, il prossimo 15 dicembre, ad affrontare un ballottaggio, con il rischio che si ripeta quanto accaduto al referendum del 21 febbraio del 2016 sulla possibilità di una sua ricandidatura (attraverso la riforma dell’articolo 168 della Costituzione del 2009, che prevede una sola rielezione consecutiva).

Allora, per negargli la possibilità di un nuovo mandato, tutta l’opposizione, di destra e di sinistra, si era coalizzata contro di lui. Con il risultato che, malgrado l’esito trionfale delle elezioni del 2014, al «no» alla ricandidatura era andato circa il 51,3% dei voti, contro il 48.7% dei sì. A quel punto Morales si trovava di fronte a due possibilità: accettare il risultato del referendum (come in effetti ci si aspetti che debba avvenire) preparando il cammino per la sua successione (con più di tre anni di tempo a disposizione per farlo) o ignorare la volontà degli elettori – su cui aveva comunque pesato una campagna sporca da parte delle destre – cercando di ottenere il suo obiettivo per altri mezzi.

Alla fine aveva scelto la seconda strada, attraverso un ricorso al Tribunale costituzionale – considerato vicino all’esecutivo – che aveva finito per autorizzarne nuovamente la candidatura, in quanto diritto umano garantito dai trattati internazionali ratificati dal paese. Ma pagando un prezzo in termini di immagine, almeno in una parte della popolazione