Una spedizione punitiva di circa 100 uomini armati travestiti da soldato, arrivati a bordo di camion e motociclette, sabato scorso ha fatto irruzione nel villaggio di Izghe, nel nord-est della Nigeria, al confine con il Camerun. Almeno 106 i morti, dopo cinque ore di terrore. Si è trattato di esecuzioni sommarie, con le vittime trucidate a colpi di fucile o sgozzate: una caccia all’uomo casa per casa.
È molto probabile che la furia squadrista contro una comunità inerme, sia stata messa in opera dal gruppo islamico integralista Boko Haram: l’esercito non avrebbe neanche provato a opporre resistenza. Il villaggio di Izghe si trova nel distretto governativo di Gwoza, in uno degli Stati, il Borno, in cui (con quelli di Yobo e Adamawa) è in vigore lo stato di emergenza, dopo che a maggio 2013 il Presidente nigeriano Goodluck Jonathan ha lanciato una pesante operazione militare contro Boko Haram.
Un’operazione costosissima che ha sortito come unico effetto la ritirata del gruppo proprio nella zona collinare di Gwoza e nonostante la quale Boko Haram rimane una delle più grandi preoccupazioni, se non la maggiore minaccia alle mire di Jonathan di un rinnovo del mandato presidenziale alle elezioni del 2015. Appena una settimana fa, un’altra città del Borno, Konduga, è stata presa d’assalto dallo stesso gruppo: 51 i morti e 20 ragazze di un college locale prese in ostaggio. Mentre tutto il mese di gennaio è stato costellato da attacchi susseguitisi a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro nei villaggi del Borno e dell’Adamawa come Alau Ngawo, Njaba, Waga Chakawa e Kawuri, con chiese e moschee date alle fiamme e civili lasciati morire sul ciglio delle strade. Solo a Kawuri il bollettino è stato di 85 morti, 50 feriti e il rapimento di donne (non è chiaro il numero). Nonostante il nome in Hausa, la lingua parlata nel nord della Nigeria, significhi «l’educazione occidentale è peccato», la rabbia di Boko Haram è diretta non contro l’Occidente, ma contro le élite politiche della Nigeria (siano funzionari o forze di polizia), uno dei paesi più corrotti del continente.
Lanciare come fa Jonathan una crociata militare, invece di agire politicamente per sradicare disoccupazione giovanile e povertà, ad altro non serve che a rivitalizzare uno dei gruppi integralisti che più rivendicano l’attaccamento al territorio e la difesa di interessi locali.