L’[/ACM_2]opposizione thailandese, rappresentata in questo momento dal Partito Democratico, ha annunciato il boicottaggio delle elezioni decise dall’attuale premier, Yingluck Shinawatra, per il prossimo due febbraio. Nello stesso tempo, il capo delle forze armate del paese, in un’intervista al Bangkok Post, ha paventato il rischio di guerra civile, chiedendo l’istituzione di un’Assemblea del Popolo, senza la partecipazione dei leader delle diverse fazioni politiche nazionali. Nonostante la decisione di Yingluck di farsi da parte, pur mantendo la carica di primo ministro ad interim, ed indire le elezioni, la situazione politica in Thailandia rimane confusa, traballante e profondamente a rischio.
Le parole del generale Prayuth Chan-ocha, in particolare, assumono un’importanza decisiva: nell’ambito della recente crisi politica, che ha visto imponenti manifestazioni delle opposizioni, l’esercito nazionale non ha preso posizione, mentre in passato è stato più volte determinante riguardo i destini del paese. Nell’intervista Prayuth ha negato in modo deciso che le forze armate possano aver fatto pressione affinché Yingluck si dimettesse e ha escluso qualsiasi possibilità circa un golpe organizzato dall’esercito: «Non parlare di un colpo di stato con me» ha specificato al suo intervistatore.
Il parere del generale è stato molto chiaro sui rischi: la Thailandia potrebbe ricadere in una guerra civile, ha raccontato, invocando la costituzione di una «assemblea del popolo» composta da rappresentanti della società civile di ogni colore politico, dalla quale siano però esclusi i leader di partito. Un’ipotesi che potrebbe avere un’agibilità politica, vista l’importanza dell’esercito nella vita del paese, ma dai contorni ancora oscuri.
Chi pare avere le idee più chiare, almeno in termini di proclami, è il leader del Partito Democratico, ovvero l’ex premier Abhisit Vejjajiva. «Il Partito democratico trova che la politica thailandese si trovi a un punto di fallimento, perché il popolo thailandese ha perso la fiducia nel sistema democratico», ha detto Abhisit, annunciando così l’intenzione del suo partito di boicottare le prossime elezioni del 2 febbraio. Secondo Abhisit Vejjajiva, «negli ultimi otto o nove anni la gente ha perso fiducia nel sistema politico e il rispetto per i partiti e le elezioni».
La richiesta dell’opposizione è quella di non precisate riforme prima delle elezioni: «la politica thailandese è fallita», ha specificato l’ex primo ministro. Analoga posizione era stata espressa nei giorni scorsi, seppure non in modo così lampante, dall’ex vice premier, Suthep Thaugsuban – che ha lasciato il proprio seggio da deputato a ottobre e si è posto alla guida delle proteste dei mesi scorsi. A questo proposito è bene precisare che i Democratici, che rappresentano la classe media delle grandi città e sono vicine a posizioni nazionalistiche e monarchiche – in Thailandia vige la legge di lesa maestà, a confermare la centralità della figura del Re – non vincono un’elezione dal 1992. Suthep già in precedenza aveva chiesto l’istituzione di un «Consiglio del popolo» nominato dall’alto; anche in questo caso la proposta dei Democratici era apparsa priva di una base politica chiara e soldi, se si esclude il fatto che almeno 150 deputati dei Democratici si erano già dimessi dalla Camera a inizio dicembre, prima che Yingluck sciogliesse il Parlamento nel tentativo di vincere nuovamente alle elezioni dopo il successo del 2011. Nelle ultime tornate elettorali thailandesi, infatti, il vincitore è sempre stato Thaksin, fratello dell’attuale premier e in esilio dal 2008 dopo una condanna per corruzione. Proprio l’ex primo ministro – personaggio controverso, populista ed ex magnate delle telecomunicazioni nazionali – è accusato di essere ancora colui che guida l’attività di governo della sorella, ed è stato più volte accusato di aver comprato i suoi voti. Il Partito di Thaksin e Yingluck, in verità, è stato capace di fare breccia tra le parti più povere della popolazione, attraverso manovre economiche a loro vantaggio, finendo per catturarne la propria ansia di partecipazione e rappresentazione, nella vita politica ed economica del paese.