Rapporti come il “Pensions at a Glance 2015” dell’Ocse, presentato a un convegno dell’Inps, sono un ottimo casus belli per riattizzare le polemiche. Indirizzate, va da sé, sul sistema pensionistico italiano, giocando su un passaggio del documento in cui si rileva che, nonostante le riforme degli ultimi anni e la crescita dell’età pensionabile, “la sostenibilità finanziaria del sistema pensionistico richiede ulteriori sforzi negli anni a venire”. Di avviso opposto la Cgil, che con Vera Lamonica ribatte: “La stessa Ocse osserva che le riforme hanno portato l’età pensionabile al livello più alto in Europa, e che la spesa pensionistica è calcolata comprendendo tutta la parte assistenziale, in altri paesi non caricata sulla previdenza. Il vero problema è l’inadeguatezza delle prestazioni”.
Da parte sua il padrone di casa Tito Boeri offre, fin dal titolo del convegno – “Pensioni e povertà oggi e domani” – una chiave di lettura orientata sul lungo periodo. E, visto che l’Inps ha fatto – per l’occasione – una simulazione su un campione di 5mila lavoratori nati nel 1980, Boeri osserva sornione: “Si lavorerà più a lungo, anche in rapporto alla speranza di vita. E le pensioni saranno del 25% più basse di quelle di oggi, tenendo conto degli anni di percezione. Poi ci saranno, a fronte di una crescita del pil all’1% e di possibili interruzioni di carriera, problemi di adeguatezza dell’importo”. Più nel dettaglio: “Molti dovranno lavorare anche fino a 75 anni per andare in pensione. E l’importo medio passerà dagli attuali 1.703 euro a 1.593 euro”. Presi più tardi, e per meno tempo.
Per certo lo studio coordinato da Stefano Scarpetta, direttore occupazione, lavoro e affari sociali dell’Ocse, racconta che fino ad oggi il sistema di previdenza italiano ha svolto un ruolo importante nel proteggere gli anziani dalla povertà. A riprova, si segnala che oggi in Italia gli over 65 che vivono in situazione di povertà relativa sono il 9,3%, rispetto al 12.6% della popolazione totale. L’altra faccia della medaglia, che però non riguarda il sistema pensionistico in senso stretto, è rappresentato dal fatto che il rischio di povertà si è trasferito dagli anziani ai giovani: circa il 15% delle persone fra i 18 e i 25 anni sono oggi relativamente povere, rispetto al 9,3% degli over 65.
L’Ocse poi affronta il mercato del lavoro, e rileva che i periodi di assenza dal lavoro per motivi familiari sono concentrati sulle donne: il 12% delle donne tra i 25 e i 49 anni, rispetto a meno dell’1% degli uomini della stessa età, ne è costretta. Quanto ai giovani, i periodi di disoccupazione o di inattività sono frequenti: circa un quarto degli under 30 non sono né occupati né coinvolti nel sistema educativo o in formazione. Inoltre le giovani donne cominciano il lavoro retribuito più di due anni più tardi rispetto agli uomini, i tassi di occupazione delle madri sono bassi, e molte donne lavorano part-time. “Queste caratteristiche – sottolinea lo studio – possono danneggiare l’adeguatezza dei redditi pensionistici nel futuro”.
Di queste conclusioni parte la risposta sindacale: “Disoccupazione, precarietà, lavoro povero e buchi contributivi – osserva Lamonica – mettono a rischio il futuro pensionistico di ampie fasce della popolazione. Allora occorre invertire la logica delle riforme di questi anni: basta allarmi sulla tenuta finanziaria del sistema che sollecitano politiche di prelievo per fare cassa, come è stato abbondantemente fatto. Piuttosto va attuata una radicale riforma della normativa vigente, che dia risposte sul necessario tasso di solidarietà da restituire al sistema, a partire dal sostegno ai periodi di assenza contributiva, di intermittenza nel lavoro, di riconoscimento del lavoro di cura. E occorre una politica del lavoro per l’occupazione, soprattutto giovanile. Perché in un sistema a ripartizione questa è l’unica politica che, anche nel lungo periodo, può rafforzare la tenuta del sistema”. Sottoscrivono sostanzialmente sia la Uil che la Cisl.
Proprio sul sistema previdenziale italiano arrivano altri dati dall’Ocse. L’età minima per avere un trattamento pensionistico di base è di 66,3 anni per gli uomini e 62,3 anni per le donne. Con il primo dato superiore alla media Ocse (64,7 anni) e il secondo inferiore (63,5 anni). Quanto alla spesa contributiva per la previdenza, in Italia nel 2013 era al 15,7% del pil, la seconda fra i paesi Ocse, dove la media è dell’8,4% del pil. E per gran parte dei dipendenti del privato c’è il 33% di contributi previdenziali, (23,8% impresa, 9,2% lavoratori), terzi fra i paesi Ocse. Infine – e in media – grazie al vecchio sistema retributivo, su cui Boeri appunta più di una critica, il tasso di sostituzione netto delle pensioni in Italia, rispetto al salario medio, era nel 2013 pari al 79,7%, superiore alla media Ocse che è del 63%. Ma in futuro, grazie alle riforme attuate (ultima la Fornero), scenderà al 62%. Guarda caso.