La foto che vedete qui sopra è di soli tredici giorni fa. Ritrae il ministro Luigi Di Maio che stringe la mano a Tito Boeri alla presentazione del rapporto annuale dell’Inps. Oltre ai sorrisi, il ministro aveva dedicato al presidente dell’Inps parole al miele riconoscendo «l’ottima collaborazione istituzionale avuta con l’Inps». Il tutto accadde il giorno dopo la sortita dell’altro vicepremier di questo governo, quel Matteo Salvini che aveva appena definito Boeri «fenomeno» promettendo di «cambiarlo» al più presto.
Quel giorno lo stesso Boeri ebbe parole di apprezzamento per il decreto Dignità («È giusto ridurre il numero di rinnovi dei contratti a tempo determinato per combattere la precarietà») e la presentazione si era conclusa con la promessa di Di Maio: «Non so se andremo d’accordo su tutto, ma sulle pensioni d’oro lo siamo».
La baruffa istituzionale originata dalla famosa «manina» additata da Di Maio verso l’Inps per la stima di 8mila contratti in meno l’anno causati dalla riduzione da 36 a 24 mesi del massimale dei contratti a tempo determinato ha ribaltato la situazione: ora Boeri è dato per spacciato e si riaffaccia la candidatura dell’intramontabile Alberto Brambilla come prossimo presidente dell’istituto nazionale previdenza sociale.
Detto che il tutto avverrebbe a febbraio quando scadrà il mandato di Boeri, va rimarcato che la volatilità delle opinioni Di Maio – le sue retromarce da ministro sono già cospicue: chiusure festive, incentivi alle assunzioni, tutele ai rider per decreto, Ilva riconvertita – deve indurre tutti a non dare per scontato il cambio ai verti dell’Inps.
Proprio il piano per tagliare le pensioni d’oro – «di privilegio» nella versione professorale di Boeri – riavvicinerà fatalmente i due e farà utilizzare a Di Maio il piano portato avanti da tanto tempo dal presidente dell’Inps nominato da Renzi: «Non per cassa ma per equità» che fu presentato nel novembre 2015 e che il Pd non adottò mai e che rischia di portare al ricalcolo col sistema contributivo molto più penalizzante di tutte le pensioni. Il punto di incontro tra le idee del professore bocconiano e quelle del M5s sta proprio nel togliere ai pensionati ricchi per dare qualcosa ai più poveri – i giovani, nella declinazione di Boeri. A questa erronea interpretazione manca totalmente l’analisi di come l’austerità previdenziale abbia proprio alimentato lo scontro generazionale facendo passare chi prende 1.200 euro di pensione come un privilegiato invece che assicurare una pensione di garanzia ai giovani, impattando sui conti pubblici non prima del 2030. Ma qui la colpa è in gran parte del Pd che non l’ha voluto fare quando era al governo.
A conferma che la figura di Boeri ha ancora estimatori nel M5s, a perorare la conferma di Di Maio ieri è arrivato anche il direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio: «Sarebbe una gran cosa», lodando la sua «indipendenza», caratteristica che il Movimento non sembra però apprezzare.
Se invece Di Maio rimanesse coerente con quanto detto domenica e ieri – «Non possiamo avere un presidente dell’Inps che non è d’accordo con il programma di governo» – la staffetta con Brambilla non sarebbe così scontata. L’ex sottosegretario del governo Berlusconi è l’autore della parte sulle pensioni del «contratto di governo» ma è smaccatamente in quota Lega e mettere lui a capo dell’ente che dovrà implementare lo «stop alla Fornero» rischia di essere un cambio troppo repentino nei bilanciamenti di governo.
Qualcuno quindi fa già il nome di Pasquale Tridico come possibile alternativa. Il ministro del Lavoro in pectore del governo M5s che si era detto sdegnato per l’alleanza con la Lega ma che è tornato in auge come suggeritore del decreto Dignità. Le pensioni non sono proprio il suo campo e questo potrebbe spegnere la candidatura prima che nasca realmente.