In fondo il presidente dell’Inps Tito Boeri non è «affatto contrario allo spirito del decreto dignità» e lo «difende» anche se ribadisce che «ci saranno effetti negativi sull’immediato». Tuttavia, e questo è stato il momento clou dell’audizione di ieri davanti alle commissioni riunite Finanze e Lavoro della Camera, «affermare che le relazioni tecniche esprimono un giudizio politico, come ha fatto »il ministro Di Maio«, significa »perdere sempre più contatto con la crosta terrestre, mettersi in orbite lontane dal nostro pianeta».

UN AFFONDO CONTRO il vicepremier pentastellato che ha risposto in maniera decisa: «A me dice che ho perso il contatto con la realtà. La verità è che oggi si è seduto sui banchi dell’opposizione. Non è la prima volta, speriamo che sia l’ultima» ha detto Di Maio. Siamo arrivati al punto della rottura sia totale. Tutto per una stima di 8 mila contratti in meno causati dalla stretta sui contratti a termine contenuta nel «decreto dignità».

L’ATTACCO DI BOERI al governo ha coinvolto anche al dioscuro leghista, il ministro dell’Interno e vicepremier Salvini. Durante la finale del mondiale di calcio a Mosca ha chiesto le sue dimissioni su twitter. «Non posso prendere in considerazione sono le richieste di dimissioni on line e le minacce da parte di chi dovrebbe presiedere alla mia sicurezza personale». Un ministro dell’Interno che «minaccia. E ancora: «Se nelle sedi istituzionali opportune mi venisse chiesto di lasciare il mio incarico anticipatamente perché ritenuto inadeguato a ricoprirlo, ne trarrei immediatamente le conseguenze». Boeri si riferisce, probabilmente, al presidente del Consiglio Conte. In serata fonti di palazzo Chigi hanno fatto sapere che i toni di Boeri sono considerati «inaccettabili e fuori luogo». E sarebbero ancora più gravi proprio perché arrivano da una figura che dovrebbe mantenere un profilo squisitamente tecnico.

ALL’APICE DEL CONFLITTO il problema è anche quello della distinzione tra valutazione «tecnica» e giudizio «politico» sulla quale Boeri ha fondato un intervento in cui ha espresso un consenso rispetto al provvedimento del governo, riservando le sue perplessità «tecniche» alla più nota, e contestata, norma del «decreto dignità». L’approccio dell’Inps, ha sottolineato Boeri, è «positivo, non normativo. Questo viene troppo spesso ignorato nel confronto pubblico». Dunque non è un’opposizione al governo pentaleghista, ma è una stima tra l’altro «ottimistica» di un effetto che potrebbe essere anche peggiore, in particolare per la «causale» del contratto riportata a 12 mesi. Il decreto Poletti l’aveva completamente liberalizzata. Per Boeri i contratti non rinnovati potrebbero essere molto di più a causa dell’aggravio dei costi contributivi (lo 0,5%) o del raddoppio dell’indennità in caso di licenziamenti illegittimi. Davanti all’introduzione di simili elementi le imprese potrebbero rinunciare ai rinnovi. A meno che, come è stato annunciato, non subentreranno gli incentivi pubblici alla trasformazione in «tempo indeterminato» che, nel mondo del Jobs Act che il «decreto dignità» non modifica è pur sempre «precario»: nel contratto «a tutele crescenti» cresce la libertà di licenziare senza articolo 18.In serata di ieri sarebbe giunta l’intesa tra Lega e Cinque Stelle sugli incentivi alle trasformazioni dei contratti a tempo determinato in contratti stabili, con un meccanismo che restituirà alle imprese i costi aggiuntivi (0,5%) dei rinnovi.

IL CUORE DEL “MANINAGATE” è un numero: 8 mila, i contratti perduti. Boeri ha spiegato l’origine di questa cifra, già circolata in questi giorni. Al netto dei lavoratori stagionali, agricoli e della pubblica amministrazione, e inclusi i lavoratori soggetti a somministrazione, in Italia oggi ci sono circa 2 milioni di contratti a tempo determinato attivati ogni anno. L’Inps ha calcolato il 4 per cento del totale (80 mila) che supera la soglia dei 24 mesi ed è quindi soggetto al rischio di non riconferma. A 8 mila si arriva riferendosi al tasso di disoccupazione prevalente nel nostro paese: 10 per cento (10,7% a maggio, dice l’Istat) potrebbe anche non ritrovare il lavoro. Il risultato fa 8 mila, già dal 2019 e 3 mila prima della fine di quest’anno. Ai tecnici della Camera, che hanno chiesto approfondimenti, Boeri invierà nuove stime ottenute analizzando i dati forniti dallo stesso ministero del Lavoro sull’andamento dei contratti a termine tra 2014 e primo trimestre 2018 e basandosi su «diversi studi», elencati in una bibliografia contenuta nei documenti consegnati alle commissioni, e «ampie evidenze empiriche» sugli effetti di cambiamento delle norme, a partire da quelli ottenuti con la soppressione dei voucher.

IN OGNI CASO, ha ribadito il presidente dell’Inps, va considerata la «modestia» del numero dei possibili «disoccupati», creato dal turn-over o dalle cessazioni dei contratti. La situazione potrebbe anche essere stabilizzata. I portavoce del M5S in Commissione non hanno accettato questa possibilità. «Sono valutazioni politiche – hanno detto – non tengono conto degli ordinativi delle imprese e del livello degli investimenti. Non ci sono ragioni evidenti per attaccare un provvedimento che rimane per noi una svolta contro il precariato». Ieri non sono state presentate stime alternative, alla luce dei criteri elencati dai Cinque Stelle, e non solo.

BOERI PUÒ AVERE «irritato il governo», come è stato fatto trapelare ieri sera, anche per la ricostruzione del caso della «manina». Il ministero del lavoro guidato da Di Maio aveva già messo in conto una riduzione dell’occupazione a tempo determinato per effetto del decreto. La prima relazione tecnica è stata inviata dall’Inps il 6 luglio 2018 alle ore 12.23. «Bisogna almeno sfogliarla per carpirne i contenuti» ha detto Boeri a Di Maio. Un’espressione polemica che ha prodotto la reazione ultimativa da parte del ministro del lavoro. La successiva richiesta di chiarimenti, almeno per Boeri, non riguardava i dati sui contratti. L’Inps ha rinviato la relazione il 6 luglio. La firma di Mattarella è arrivata il 12. Il governo sarebbe stato a conoscenza della tabella una settimana prima.