Cosa si chiede alla Semaine de la critique? Per quale motivo tanti spettatori si accalcano ogni anno nel punto più lontano della Croisette per vedere film di registi non (ancora) conosciuti ? Nata come un secondo spazio alternativo alla competizione ufficiale, più tardi affiancata dalla Quinzaine des réalisateurs, la «Semaine» tocca quest’anno le 60 edizioni. Sarà anche l’ultima con il critico e ex redattore capo dei Cahiers du cinéma Charles Tesson che è nato solo otto anni prima della Semaine e che la dirige dal 2011. La missione di questa sezione è da sempre quella di scoprire e far conoscere nuovi cineasti al primo corto o al primo o secondo film.

ED È MISSIONE riuscita, l’elenco è fitto di grandi nomi passati per la sala dello spazio Miramar e che da questo punto estremo della Croisette sono rapidamente saliti fino alle marches della competizione ufficiale. È per questo che ogni anno c’è una grande attesa per i film presentati qui. Una prima bella sorpresa c’è stata con il film italiano Piccolo Corpo, di cui ha scritto Cristina Piccino sul manifesto dell’11 luglio. Una seconda è stata la proiezione di un film, questa volta francese, Petite Nature di Samuel Theis – sebbene questi non sia un totale sconosciuto. È infatti uno dei tre registi del film Party Girl, che diverse sezioni si erano conteso e che alla fine aveva aperto Un certain regard nel 2015.
Petite Nature è il suo primo film come autore unico. È la storia di un ragazzo di dieci anni che vive nelle case popolari della città frontaliera di Forbach con la madre, tabaccaia alcolista e festaiola, con un fratello maggiore altrettanto inaffidabile e con una sorellina di cui deve occuparsi. Ha lunghi boccoli d’oro e si chiama Johnny (i francesi dicono : «gionnì»), come il popolarissimo cantante rock transalpino Johnny Halliday. Johnny non somiglia affatto all’ambiente duro dei casermoni proletari in cui è cresciuto. È delicato e sofisticato, si potrebbe dire effeminato (è questo il senso dell’espressione petite nature). L’arrivo a scuola di un nuovo maestro venuto da Lione gli fa immaginare di poter vivere una vita diversa, lontano da Forbach…

IL FILM È COSTRUITO tutto sulle spalle di questo ragazzo, del suo punto di vista che in diversi passaggi fa pensare al film dove Jean Eustache ricostruisce la sua infanzia a Narbonne: Mes petites amoureuses. Samuel Theis fotografa con forza e giustezza il momento in cui un ragazzo eccezionale riesce a prendere coscienza del fatto che il mondo in cui è nato e cresciuto non è affatto naturale ma dominato da leggi non scritte che la sua intelligenza gli permette vedere, ma che non per questo è in grado di sovvertire alle quali probabilmente non riuscirà nemmeno a sfuggire.
A proposito di lotta di classe e di leggi alle quali non si sfugge, tra i film selezionati nella prima edizione della Semaine, nel lontano 1962, si trova un capolavoro intitolato Adieu Philippines e firmato dal regista Jacques Rozier. Il film fu presentato da François Truffaut e da Jean-Luc Godard. Quest’ultimo disse, tra l’altro: «quelli che non vedranno Yveline Cery ballare un cha-cha-cha con gli occhi rivolti alla macchina da presa, non potranno più permettersi di parlare di cinema a Cannes». Sono passati sessant’anni.

L’INFLUENZA di Jacques Rozier è rimasta discreta ma tenace, e forse non è mai stata così forte come oggi – il cinema di Sophie Letourneur e di Guillaume Brac, per fare due nomi delle nuove leve, è lì a testimoniarlo. Oggi Rozier compie novantaquattro anni, ed i social riportano la notizia che è appena stato sfrattato dal suo appartamento. Parafrasando Godard, andrebbe dire che chi non è indignato da questa notizia non dovrebbe più poter parlare di nulla. E che chi ne è sorpreso non sa in che mondo vive.