Il Colosseo – tra lo skyline tamarro del «divo Nerone» che staglia le sue arroganti strutture tra colonne romane (ieri, migliaia le persone in fila sulla via Sacra), l’ipotesi di finire ingabbiato da orrende cancellate anti-terrorismo, lo scapestrato restauro che ha cancellato la sua storia, riducendola a una patina televisiva – non ha pace. Ed è la spina nel fianco anche del ministro per i beni culturali Dario Franceschini. Ancora una volta l’Anfiteatro Flavio è l’ospite scomodo che sta dietro al duello fra Mibact e Campidoglio: il Tar del Lazio, infatti, ha accolto il ricorso con il quale il Comune di Roma contestava il decreto che istituiva il Parco autonomo voluto da Franceschini (che è pronto a impugnare l’atto). La motivazione della bocciatura? «Vizi di eccesso di potere del provvedimento» e anche «violazione del principio della leale collaborazione tra enti». Colosseo e area Fori, estrapolati indebitamente, toglievano alla città gran parte delle sue risorse, provenienti dalla bigliettazione. E mettevano in ginocchio così gli altri beni archeologici del Comune. È tutto da rifare; decreto annullato.

LE SENTENZE di accoglimento pubblicate riguardano poi le istanze di opposizione avanzate dal sindacato Uilpa-Bact, dove si definiva quel Parco «un’operazione arbitraria, con gravi profili di illegittimità di merito e metodo».
La sindaca Raggi ha esultato, cinguettando con un tweet dai toni populisti: #Colosseo. Hanno vinto i cittadini, bene Tar. Sconfitto tentativo Governo. Roma resta di tutti. Secondo il Campidoglio, infatti, il «progetto Colosseo» era lesivo degli interessi di Roma Capitale, dato che sottraeva un bene alla Soprintendenza speciale e alla città – circa 40 milioni di euro i ricavi – e immetteva in circuito patrimoni di serie A e altri di serie B. Anche per il vicesindaco Luca Bergamo quella del Tar è «una decisione positiva e importante che consente di riprendere il discorso su una visione unitaria e integrata del patrimonio culturale della città. Che non può essere visto semplicemente come asservito al turismo».
Dopo lo stop e la caduta delle nomine di alcuni nuovi direttori di musei, tra cui gli «stranieri» (per l’impossibilità di valutare un concorso avvenuto a porte chiuse, con criteri fumosi, che non rispettava la norma cui si sono sottoposti, negli anni passati, gli altri candidati alle cariche dirigenziali), Franceschini è apparso stavolta più smaliziato di fronte la notizia del nuovo fallimento: «Non posso dire che sono stupito. È lo stesso Tar, stessa sezione della sentenza sui direttori stranieri. Fatico però a capire perché 31 musei e parchi archeologici autonomi, dagli Uffizi a Pompei, vadano bene e il 32esimo, il Parco del Colosseo, giuridicamente identico a tutti gli altri, invece no».

LA VERITÀ è che la riforma del Mibact, fiore all’occhiello del governo Renzi, è allo sbando e paga l’improvvisazione dei suoi «piloti» che hanno forzato la mano, imponendo decisioni dall’alto e squassando un sistema perfettibile certo, ma non smantellabile del tutto. Non è questione solo di cavilli burocratici, in campo entrano metodi e visioni. La brama dell’immediato far cassa attraverso i «monumenti-re» è cosa di breve respiro, non rispetta l’unità del centro storico, chiave concettuale per la sua giusta tutela. Così il Colosseo non può essere scippato né spremuto come un limone per ammucchiare soldi. Ha tutti i connotati, invece, per essere un magnifico testimonial di quel parco senza soluzioni di continuità che auspicava Antonio Cederna e che avrebbe dovuto suturare la ferita inferta dal fascismo all’assetto urbanistico della capitale. Era quello un modo di chiudere i conti con una stagione di sventramenti propagandistici per aprire la porta a un’altra stagione, in cui si riconsegnava la città ai suoi abitanti e – perché no – anche ai turisti.