Il Tribunale Costituzionale spagnolo ha colpito ancora. Stavolta per sconfessare il fiore all’occhiello della complicata stagione di alleanza fra Izquierda Unida e socialisti in Andalusia, chiusasi con la convocazione di elezioni anticipate all’inizio di quest’anno da parte della presidente andalusa. In pieno dibattito post-elettorale, l’organo che in teoria assicura la corretta applicazione della Costituzione spagnola del 1978, ha emesso l’attesa sentenza sul decreto antisfratti varato dalla giunta andalusa su pressione dei soci minoritari di Izquerda Unida nell’aprile del 2013. Pollice verso.

Il decreto «per assicurare la funzione sociale della casa» prevedeva che il governo regionale potesse «espropriare» per un periodo massimo di tre anni gli appartamenti sottoposti a sfratto ipotecario da una banca o da un’agenzia immobiliare nel caso le famiglie sfrattate fossero a rischio di esclusione sociale. In cambio, la giunta avrebbe pagato il 2% del valore della casa all’entità proprietaria. Il decreto prevedeva anche una serie di sanzioni proporzionali per chi manteneva gli edifici sfitti e la creazione di un «Registro delle case disabitate». Successivamente a questo decreto, subito impugnato dal governo centrale di Mariano Rajoy, e quindi sospeso, il parlamento andaluso aveva approvato una legge che ampliava il ventaglio di possibili beneficiari di queste misure sociali. Una legge anch’essa prontamente impugnata dal Partito popolare e attualmente sospesa.

Il Tribunale costituzionale si è espresso per ora solo sul decreto, a maggioranza di 8 contro 4, con tre «voti particolari» dei magistrati progressisti che hanno fatto mettere a verbale tre diverse interpretazioni giuridiche.

La sentenza dà ragione solo su uno de tre punti alla Giunta andalusa. Secondo i giudici, al contrario di quello che sosteneva il governo Rajoy, la decretazione d’urgenza, data l’emergenza sociale in atto, rispondeva al requisito di «straordinaria e urgente necessità» che esige la costituzione. Questo punto del ricorso è stato dunque respinto perché era necessaria una «azione normativa assolutamente immediata» per dare compimento all’articolo 47 della Costituzione: “Tutti gli spagnoli hanno il diritto di poter usufruire di un alloggio degno e adeguato”.

Tuttavia la critica principale del Tribunale si concentra su altre due questioni. Primo, che “il dovere di destinare il bene all’uso abitativo” cozza contro il diritto alla proprietà, un tema che non può essere oggetto di decreto, bensì di legge. Su questo punto, dunque, la successiva legge potrebbe risolvere il problema. Ma la questione chiave, che difficilmente potrà essere aggirata dalla legge sospesa, è che secondo gli alti magistrati, la norma oggetto di ricorso invade la competenza statale sulla “coordinazione e pianificazione generale dell’attività economica” oggetto di altro articolo della Costituzione. Nella sentenza, il Tribunale osserva che il governo centrale ha approvato una legge, considerata del tutto insufficiente dai movimenti di base per il diritto alla casa, e che questa legge protegge i debitori in maniera compatibile “con l’adeguato funzionamento del mercato ipotecario”, mentre quella andalusa no.

Ossia, in altre parole, il Tribunale crede che il diritto delle banche a riscuotere i loro debiti è più importante del diritto alla casa, previsto dalla stessa costituzione e da innumerevoli trattati internazionali.

Secondo il giurista e magistrato emerito del Tribunale Supremo José Antonio Martín Pallín, si tratta di una sentenza del tutto “incostituzionale”, come ha dichiarato ieri in un’intervista molto dura alla Cadena Ser.

Quando la legge venne bloccata dal ricorso del Pp, con la giustificazione che la legge avrebbe potuto minacciare la ripresa economica, erano già 144 le famiglie andaluse a cui era stato concesso l’esproprio temporaneo.

Il Tribunale Costituzionale, al centro di molte polemiche – per esempio, per le discutibili decisioni relative allo statuto autonomico catalano e alla convocazione del referendum “virtuale” sull’indipendenza del novembre scorso – è in Spagna un organo totalmente vincolato al sistema partitico. Otto dei suoi membri sono eletti dalle Cortes e dal Senato (in questo momento entrambi a maggioranza popolare), due direttamente dal governo e solo due dal Consiglio del Potere Giudiziale, l’equivalente del Csm italiano.

Ieri la Giunta andalusa “ad interim” (in quanto il nuovo parlamento non ha ancora raggiunto la maggioranza per nominare la presidente Susana Díaz) ha annunciato di star studiando la possibilità di ricorrere al tribunale europeo.