L’altare di Zeus smontato dall’acropoli di Pergamo e rimontato in un museo di Berlino è ancora bello? E i frontoni del Partenone sui piedistalli del British Museum? Dipende dai punti di vista. In ogni caso, oltre le considerazioni estetiche esistono dei precisi significati politici dietro queste collocazioni.

Sabato 24 novembre si sarebbe dovuto giocare il ritorno della finale di coppa Libertadores. Il River Plate avrebbe dovuto ospitare il Boca Juniors 15 giorni dopo l’andata, terminata 2 a 2 alla Bombonera. Quando alcune pietre hanno raggiunto i vetri dell’autobus che trasportava la squadra gialloblù, lo stadio Monumental era già un formicaio con 66mila tifosi assiepati sulle gradinate. Il fischio d’inizio è stato rimandato di un’ora, poi di due, poi di un giorno e infine di due settimane e 10mila chilometri. La decisione è stata presa dalla Confederación sudamericana de Fútbol (Conmebol) con l’appoggio dei vertici della Fifa.

[do action=”citazione”] «Che la finale di una coppa che si chiamava Libertadores de América si giochi nella capitale del paese da cui l’America si è liberata ha fatto in modo che in tanti l’abbiano ribattezzataConquistadores de América” – ha affermato lo scrittore e giornalista argentino Martín Carrasco, ospite della catalana Tv3 – Che inoltre si giochi in casa di un club che si chiama Real per il re da cui si ottenne l’indipendenza è una grande assurdità». [/do]

«Voglio chiedere a Domínguez (presidente della Conmebol, ndr) che diavolo dovrei fare se la mia famiglia volesse vedere questa partita a Madrid – ha tuonato Diego Armando Maradona ai microfoni di radio La Red – Pensano che siamo tutti come Macri? Questa gente è la piaga del calcio». Anche Juan Román Riquelme, indimenticato campione che con il Boca ha vinto tutto, ha espresso dure critiche: «Poche cose sono nostre: l’asado, il mate, il dulce de leche e il superclásico. Ci hanno appena tolto quest’ultimo. Era la festa del nostro paese. È triste che si giochi da un’altra parte. La finale non sarà la stessa cosa, sarà solo l’amichevole più cara della storia».

Il presidente del River Rodolfo d’Onofrio ha definito il trasferimento della partita «la vergogna del calcio argentino» accusando la Asociación del Fútbol Argentino (Afa) di non aver impedito che la finale uscisse dal Sudamerica. Il Boca, intanto, ha continuato a presentare ricorsi su ricorsi per ottenere la vittoria a tavolino. Il presidente Daniel Angelici e tutta la dirigenza degli Xeneizes sono legati a doppio filo al presidente Mauricio Macri, che proprio dagli uffici della Bombonera lanciò la sua carriera politica. Alla base della richiesta c’è il parallelo con un episodio accaduto nel 2015, l’ultima volta che le due squadre si erano incontrate nel torneo più ambito.

Era il ritorno di un quarto di finale e tra primo e secondo tempo un ultras del Boca infilò un ordigno urticante nel tunnel da cui uscivano i calciatori del River. La partita fu sospesa e la squadra di casa condannata 0 a 3. Stavolta, però, l’episodio di violenza è accaduto all’esterno dello stadio, fuori dall’area di competenza del club ospitante.

L’autobus che trasportava i giocatori gialloblù è finito incredibilmente nell’area di afflusso dei tifosi di casa. Lo spray che ha intossicato i calciatori è stato sparato dalla polizia di Macri. Una dinamica che, secondo la giornalista argentina Cristina Pérez, «lascia più domande, che risposte». La ministra della Sicurezza Patricia Bullrich aveva affermato: «Se ospiteremo un G20, perché non possiamo far giocare un Boca River?». L’incontro dei 20 uomini più potenti del mondo si è concluso senza incidenti, nonostante le provocazioni delle forze dell’ordine. Il superclásico, invece, non si è ancora disputato.

In tanti hanno puntato il dito contro le barras bravas, organizzazioni di ultras protagoniste di ripetuti episodi di violenza. Si stima che negli ultimi 50 anni in Argentina siano morte 350 persone per scontri legati al calcio. Inutile negare che esiste un problema, ma pensare di ridurre la questione al lancio di qualche sasso significa guardare il dito che indica la luna. Macri, che inizialmente aveva addirittura proposto di aprire i due stadi ai tifosi ospiti, ha detto in tv che bisogna farla finita con le barras. Peccato che queste organizzazioni si siano strutturate con la connivenza di politici, dirigenti sportivi e poliziotti. Anche grazie alla possibilità di gestire redditizie attività economiche: dai parcheggi intorno agli stadi, alla rivendita di biglietti, fino ai «contributi» delle società per evitare troppo casino.

Soldi che, comunque, sono solo le briciole del grande negozio del calcio. Gli interessi veri stanno altrove e certamente rendono di più se pagati in euro invece che nella traballante valuta locale. Il destino dei giovanissimi talenti sudamericani segue le rotte percorse nei secoli scorsi dall’argento di Potosí o dall’oro di Ouro Preto. Dei 23 convocati argentini per il mondiale russo solo tre giocavano in Primera división. Numeri simili riguardano la selezione brasiliana e, in generale, tutte le squadre fuori dal vecchio continente, il centro del mercato globale del pallone.

River e Boca giocheranno nello stadio del Real Madrid, la squadra che ha vinto 4 delle ultime 5 Champions League. Lo scorso anno intorno a quella coppa sono ruotati 1,3 miliardi di euro.

[do action=”citazione”]La rosa del Real vale mille milioni, mentre tutti i calciatori dei 28 club che compongono la serie A argentina raggiungono appena i 735. I tornei nazionali e le coppe continentali dell’America del Sud sono organizzati di riflesso agli equivalenti europei. Orari e date del superclásico erano già stati modificati per accomodarli alle esigenze del pubblico nostrano.[/do]

Nonostante tutto questo, il trasferimento della finale tra andata e ritorno, dopo che era già stata programmata, dopo che decine di migliaia di tifosi erano già accorsi allo stadio per incitare la loro squadra e guardare la partita dal vivo è una vergogna senza precedenti nella storia. «È la conclusione del processo di saccheggio del calcio argentino – ha detto Carrasco – Per molti anni ci siamo rassegnati a vendere a Spagna, Italia, Francia, Inghilterra e Germania i nostri giocatori più forti. Ma vendere anche la nostra migliore partita non era nel piano. Adesso sì».