Sembrava fosse eterno, nonostante gli anni di pesante tossicodipendenza, un cancro al colon e i primi sintomi dell’Alzheimer. Eppure Bobby Womack, che si è spento a 70 anni nella notte di venerdì, due anni fa era tornato a sorpresa con un album, splendido, fortissimamente voluto da Damon Albarn: The Bravest Man in the Universe. Dieci canzoni di una bellezza abbacinante, velate di elettronica dove la voce più roca ma sempre intatta del leone del soul si arrampicava su note altissime. Un artista affatto smarrito, capace ancora di graffiare e giocare con la musica. Un fuoriclasse mai dimenticato, come dimostrano i messaggi di cordoglio che sono piovuti via twitter e instagram all’annuncio della sua scomparsa: George Clinton, gli OutKast, Flea dei Red Hot Chili Peppers, Ron Wood, Peter Gabriel, tutti a rendergli un dovuto omaggio.

Una vita e una carriera i cui capitoli potrebbero tranquillamente diventare un romanzo, soul naturalmente, per un talento che dalla natia Cleveland ha girato l’America e il mondo, inciso decine di album, suonato per superstar inventando un suo personalissimo stile di chitarrista, con l’utilizzo del wah-wah dall’approccio ritmico. Eppure Womack non è mai stato una stella da milioni di copie vendute – come accadeva a contemporanei del calibro di Wilson Pickett, Marvin Gaye o Al Green. Il suo stile vocale – quel soffio ringhioso quasi fosse carta vetrata – che all’occorrenza sapeva essere dolcissimo – lo rendeva però un icona, un maestro adorato dai colleghi, con un seguito fortissimo nel Regno unito, dove proprio qui l’ex Blur Damon Albarn lo ha «costretto» a incidere il suo canto del cigno.

Nato il 4 marzo del 1944 – il suo vero nome è Robert Dwayne Womack – Bobby muove i primi passi in ambito gospel. Una scuola di vita che lascia il segno, tanto che nella maturità introduce nei live le canzoni con infuocati sermoni sul «senso della vita». A 7 anni – sotto la guida del padre operaio e ministro del culto battista, insieme ai fratelli Curtis, Harry, Cecil dà vita ai Womack’s brothers un gruppo che girerà per le chiese a partire dal 1953. Sam Cooke li vede esibirsi dal vivo e resta folgorato dal talento dei ragazzini, soprattutto di Bobby tanto da chiamarlo dieci anni dopo per reclutarlo nella sua band. Bobby ha appena 17 anni e con i fratelli decide che è venuto il momento di affrancarsi dall’ambito gospel per abbracciare un più profano pop soul. Cambiano nome in Valentinos e incidono brani di discreto successo che diventano grandi hit ripresi da altri artisti. Come Lookin for love (1962), una decade dopo trasformata in classico dalla J. Geils band.

Ancor più vasta è l’eco raggiunta da It’s all over now – incisa con i fratelli e ripresa dai Rolling Stones che la trasformano in istantaneo numero uno. «All’inizio – ha dichiarato nel 2012 in un’intervista al Guardian Womack – non la presi molto bene. Era come se mi avessero rubato la canzone. Cambiai idea quando mi arrivò il primo assegno delle royalties…». Improvvisamente quella che sembrava una carriera in ascesa, subisce un brusco stop. L’11 dicembre Sam Cooke, viene assassinato dopo una lite con il proprietario di un motel a Los Angeles. Poche settimane dopo Bobby ne sposa la vedova, Barbara Campbell, generando uno scandalo nella comunità R&B.
Senza un’etichetta alle spalle e senza un mentore come Sam, Bobby lascia i Valentinos e viene ingaggiato come session man. Suo lo zampino in un album di Aretha Franklin (1970) Lady soul, ma anche sui lavori di Sly Stone, Ray Charles, Joe Tex. Nel 1968, finalmente il primo album solista, Fly me to the moon seguito nei primi ’70 da raccolte in cui matura tutta la sua abilità di autore di composizioni dove il soul si mescola al funk e alla nascente disco music. Nascono così Communication (1971) con i brani That’s The Way I Feel about Cha e Understanding (1972) che include Woman’s Gotta Have it e il tema di una colonna sonora Across 110th Street, ripresa poi da Tarantino in Jackie Brown (1997) Nel 1981 e nel 1982 realizza The Poet e il «sequel» The Poet II, forse i suoi progetti più centrati mentre nel 1986 insieme a Mick Jagger duetta sulle note della cover di una hit del 1963, Harlem Shuffle nell’album delle pietre rotolanti Dirty Work.

Il privato di Womack alterna invece pesanti ombre, sono gli anni della lunga e pesante tossicodipendenza, dei ripetuti ricoveri e delle traversie di salute. La rinascita è recente con l’ingresso nel 2009 nella Rock’nroll hall of fame, il disco con Albarn e un progetto che aveva già un titolo The Best is yet to come, in fase di realizzazione con la collaborazione di Stevie Wonder, Rod Stewart e Snoop Dogg.