Forse è solo una diceria, uno stupido chiacchiericcio da corridoio quello secondo cui Bob Marley non è stato neanche la prima scelta di Chris Blackwell per fare da cavia nel suo ardito esperimento: far diventare il reggae un genere internazionale e di trasformare un artista giamaicano in una star mondiale. Verso la fine degli anni ’60, il reggae, in Gran Bretagna, era considerato dagli appassionati uno stile pop come un altro, magari solo un tantino più accattivante. Le ritmiche esportate erano, infatti, minimali, e il reggae aveva una vita commerciale molto corta. Quando Chris Blackwell mise sotto contratto i Wailers prevedeva di trattarli nella stessa ottica, indubbiamente alternativa e lungimirante, con cui trattava le sue star del rock.

Il problema era come inserirli nel mercato che, con la sua Island records, si era costruito nel corso degli anni. Ma quando Blackwell li fece firmare, i Wailers era già maturi e non avevano bisogno di essere rimaneggiati, e l’idea di Blackwell di tirare un po’ a lucido il loro sound dando per scontato che il suo pubblico rock non avrebbe ascoltato reggae se non suonava rock era un poco prevenuta e poco rispettosa di un pubblico rock alternativo:sappiamo tutti come è andata. La cosa più criticata dai puristi del genere sono, in genere, i remixes della Island così poco dinamici, con i bassi compressi alla minima potenza con rilasci che rendono il sound più artefatto e artificiale, e la voce di Bob, così unica e capace di esprimersi al massimo della sua emotività, diventare fragile e sfasata se comparata alle sessioni rustiche di Lee Perry. Comunque alla fine del 1975 il reggae aveva raggiunto un certo status di legittimazione culturale, e Bob Marley era una celebrità globale, al punto da potersi permettere persino di essere più ripetitivo che rivoluzionario, pertanto la struttura, gli arrangiamenti e il sound dei suoi lavori successivi non cambiano molto. Ormai Bob sapeva come scrivere canzoni che facessero ballare il pubblico senza intimidirlo. Kaya, qui celebrato con doppio cd e doppio lp edizione de luxe, uscì sotto Island Records, nel 1978, ed è l’album più criticato della storia del poeta del ghetto di Trenchtown, per la sua levità e per le sue atmosfere dopate.

Bob l’aveva registrato a Londra, contestualmente ad altre takes confluite in Exodus, album dall’appeal più combattivo, e ora il figlio Stephen ha tirato fuori dai caveau di famiglia alcuni demo e takes alternative con arrangiamenti vocali e strumentali diversi, per proporre i suoi remixes anche di brani come la title track, Satisfy My Soul e la lunare Sun is Shining di cui Lee Perry aveva già prodotto, della seconda, una versione dalla scorza più poetica, e dando agli altri due brani una vibrazione più meditativa e spirituale. Nella versione di Stephen l’intento è quello mantenersi il più possibile fedele all’approccio analogico delle sessioni registrate nei ’70, ma rispetto all’edizione del fratello Ziggy, pubblicata 5 anni fa, si nota una minore accuratezza storiografica:quest’ultima, ad esempio, conteneva anche l’introvabile live all’Ahoy Allen nel 1978, una vera chicca per i fans.