Il Carro dei Tespi si rimette in marcia. Il Never Ending Tour, il giro di concerti che non finisce mai, di Bob Dylan s’avvia il 4 giugno, da Bend, in Oregon (biglietti a 53 dollari) con un quintetto d’accompagnatori e ha già fissato 24 date, comprese New York e Los Angeles, che fanno arrivare al totale di 3090 concerti worldwide dal 1988. È quindi presumibile che abbia passato il suo 80 esimo compleanno, suonando e provando il nuovo show, in quanto poco incline alle convenzioni date, alle celebrazioni, alla retorica (tanto da non presentarsi neppure alla cerimonia di consegna per il Premio Nobel per la letteratura, a Stoccolma nel dicembre 2016 e neppure tenere il discorso o mandare un messaggio registrato, conditio sine qua non per ritirare il premio in denaro, circa 1 milione di euro, al diavolo anche quello). «Non credo in nessuna religione o filosofia» ha dichiarato anni fa al Guardian (e anche ogni tentativo d’incasellamento politico facendo il ruvido scontroso persino con Barack Obama) salvo poi suonare per il Papa Giovanni Paolo II a Bologna nel 1997 e condire di citazioni bibliche i versi enigmatici delle sue canzoni tanto che lo studioso e dylanologo Renato Giovannoli ha scritto una trilogia La Bibbia di Bob Dylan dove analizza la sua intera opera alla luce del grande codice della letteratura occidentale e americana, la King James Version, la Bibbia cristiana, inciampando almeno un paio di volte in ogni canzone.

NATO IL 24 MAGGIO 1941, a Duluth, da una famiglia di tradizione ebraica, lituano il padre, ucraina la madre, da cui è scappato a gambe levate appena ha potuto. Però poi è tornato alle radici tradizionali, con la conversione religiosa e la frequentazione di amici rabbini, sempre velata da una forte riservatezza. Che cosa ha fatto Robert Zimmermann nel periodo di lockdown per Covid? Ha vissuto isolato nella sua villa di Malibu, sull’oceano, e ha dipinto una serie di paesaggi, creato sculture in metallo e altri disegni che verranno esposti in una mostra a Miami, intitolata Retrospectrum, inaugurazione prevista per il 30 novembre. Darsi da fare in ogni modo, trovare piacere nel suonare, impiegare bene il tempo, sembra essere il suo unico precetto, valido per oggi e anche guardando indietro, ai tempi andati. Il cantautore più famoso del mondo, il folksinger trasformato in artista avvincente e inafferrabile, premiato «per aver creato una nuova espressione poetica nell’ambito della grande tradizione della canzone americana». Il menestrello del Greenwich Village, con l’armonica tra le labbra, la chitarra a tracolla e i capelli spettinati, capace di ribaltare tutto di colpo, con un’imprevedibile svolta elettrica a Newport, fino alle innumerevoli giravolte musicali, in questa carriera lunga sessanta anni, tutte efficaci quanto stranianti, come l’ultima elegia, Murder Most Foul, il delitto più scellerato, sull’assassinio di John Kennedy, la perdita dell’innocenza della generazione dei baby boomers che sognavano di cambiare la società americana, «l’anima di una nazione è strappata via e sta cominciando lentamente a marcire».

125 MILIONI DI DISCHI venduti, e bootleg e registrazioni d’archivio in arrivo a getto continuo (e i diritti d’autore del suo intero repertorio venduti a 300 milioni di dollari all’Universal) con l’ipotetica apertura dell’archivio segreto affidato al miliardario del petrolio George Kaiser. Il Bob Dylan Center sorgerà a Tulsa, Oklahoma, dove già, in un gemellaggio simbolico, sono custodite le carte del suo idolo Woody Guthrie. Allora facciamo un brindisi, col whiskey “Heaven’s Door” creato in collaborazione con l’imprenditore del Midwest e fan del musicista Marc Bushala e mettiamo sul piatto un suo disco in vinile o scegliete l’elenco di brani preferiti (ma ascoltate anche i meno noti, carichi di acuminata irrequietezza come Brownsville Girl o il bluesaccio Someday Baby) su uno dei grandi player di streaming online. «Le canzoni sembrano conoscere sé stesse, e sanno che io sono in grado di cantarle, vocalmente e ritmicamente. In un certo senso, è come se si scrivessero da sole e poi si affidassero a me per cantarle». Happy birthday, in ritardo, nonnetto con l’artrite (che limita molto l’autonomia con la chitarra) e la mefistofelica voce di «sabbia e colla», l’uomo che ha portato la poesia nei jukebox (sosteneva Allen Ginsberg), interprete forever young, genio assoluto, figura rivoluzionaria della musica popolare americana, mago senza tempo delle canzoni.