Per un anno e mezzo si è speculato, immaginato scenari e dialoghi, scontri e sotterfugi, sugli eventi che seguirono la morte dell’uomo d’affari inglese Neil Heywood. Allora, un anno e mezzo fa nel breve giro di alcuni mesi, la sua morte – avvenuta nel novembre del 2011 in un albergo di Chongqing – segnò la vita del dirigente del Partito comunista più in vista, Bo Xilai, messo sotto indagine dall’ufficio disciplinare del Pcc, espulso e infine indagato, e della moglie, Gu Kailai, già condannata per l’omicidio dell’uomo inglese. L’uomo al centro del giallo, colui che diede vita a tutto lo scandalo è stato Wang Lijun, ex superpoliziotto, braccio destro di Bo Xilai. Fu lui nel febbraio 2012 a fuggire al consolato americano di Chengdu alla ricerca di un improbabile asilo politico. Si disse che Wang fosse fuggito perché spaventato dalla potenziale reazione di Bo Xilai alla notizia delle indagini sulla moglie. Si raccontò di un vivace confronto tra i due, con tanto di schiaffone rifilato da Bo Xilai a Wang che pure passa per un esperto di arti marziali e ha sempre millantato scontri ravvicinati con i membri più crudeli delle triadi cinesi.
Ieri, dopo un anno e mezzo di misteri, i due si sono incontrati di nuovo in un’aula tribunale di Jinan, nello Shandong, dove si sta svolgendo il processo contro il principino rosso Bo Xilai.
Wang Lijun – condannato a 15 anni di carcere per diserzione e corruzione – si è definito «vittima» oltre che testimone nel processo di Bo Xilai. Quest’ultimo ha cercato di spiegare la dinamica dei fatti, raccontando di aver saputo dei sospetti di Wang Lijun sulla moglie, che a sua volta avrebbe rassicurato Bo Xilai, fornendo un certificato di morte del britannico – ottenuto in modo ad oggi ancora misterioso – che attribuiva il decesso a cause cardiache dovute ad uso di alcool (giustificazione che venne usata inizialmente anche sui media cinesi). A quel punto Bo e Wang ebbero un feroce diverbio e Wang, osservando come tutte le persone che avevano indagato sul caso erano scomparse, ebbe paura per la propria vita e fuggì al consolato di Chengdu. A questo proposito Bo Xilai ha ammesso di aver gestito male l’intera faccenda: spinto dalla moglie e dalla confusione generata dagli eventi Bo Xilai aveva infatti degradato Wang Lijun, costringendolo di fatto alla fuga. «Mi vergogno di come ho gestito una situazione che ha portato a ripercussioni negative per l’intero paese», ha spiegato Bo Xilai.
Le testimonianze di ieri nell’aula blindata di Jinan erano molto attese e confermano la ridda di rumor e dicerie che si sono sviluppate dall’inizio dello scandalo a oggi; forse sono perfino troppo uguali a tante voci. L’impressione che infatti si è avuta, fin dal febbraio 2012, è stata quella di una sorta di plot disegnato ad arte per i media stranieri. Nel corso del tempo sono usciti estratti audio su youtube, documenti riservati, affermazioni di fonti, che oggi hanno trovato la quasi totale conferma nelle parole dell’imputato Bo Xilai e del testimone Wang Lijun. In realtà, infatti, al di là delle motivazioni politiche che stanno alla base della caduta del neomaoista Bo, ci sono molti dubbi anche sulla morte di Heywood, tanto che secondo fonti cinesi, non ci sarebbe assoluta certezza circa le cause e i responsabili della sua morte. Appare debole il movente (presunte minacce ai danni del figlio di Bo Xilai) e perfino la dinamica: il corpo dell’inglese fu immediatamente cremato. Wang Lijun sostiene di aver estratto del sangue dal cadavere, ma alcune fonti cinesi ritengono che non si siano trovate tracce di cianuro. E le dimissioni di una dottoressa forense, «disgustata» dai metodi dell’accusa, non fa che confermare i sospetti.
Non solo omicidi, però, nella giornata di ieri, ma anche una parziale ammissione di Bo Xilai, in relazione all’appropriazione indebita, uno dei reati per cui è imputato. L’ex leader di Chongqing avrebbe infatti confermato alla Corte di essersi comportato in modo poco cauto, rispetto a una «donazione» di circa 600mila euro fatta dall’uomo d’affari cinesi Xu Ming alla famiglia. Parziale ammissione, di poca cautela, rispetto a rapporti che lo stesso Bo Xilai ha definito «di affari». Il processo prosegue oggi, in attesa della sentenza prevista per inizio settembre.