Alias Domenica

BnF Richelieu, spazi ariosi alla mémoire du monde

BnF Richelieu, spazi ariosi alla mémoire du mondeLa Galerie Mazarin presso la Bnf Richelieu (Courtesy BnF)

A Parigi, il restauro A un anno esatto dalla riapertura, una visita alla sede storica della Biblioteca di Francia: ristabilita nel segno dell’eleganza monumentale e... civica

Pubblicato circa un anno faEdizione del 24 settembre 2023

A un attraversamento a passo svelto, lancia in resta, come è proprio delle legioni di turisti in visita presso i grandi musei di tutto il mondo, persino lo sguardo del più distratto di quei cavalieri non potrà che rimanere impigliato nello sfavillio della Galerie Mazarin, esaltato dalla illuminazione millimetricamente calibrata del salone, e riverberato dalla trasparenza delle teche di solo vetro, prive di strutture portanti (anche quella centrale a forma di ottagono, la forma della perfezione: un capolavoro in se stessa). In alto si possono ammirare gli affreschi barocchi del Romanelli, riportati a nuovo, «scandaloso» splendore: il restauro condotto da Alix Laveau ha infatti cancellato i «veli di pudore» che avevano tappezzato le volte coprendo i nudi originali con colori posticci; in basso, il Globo celeste realizzato nel 1693 da Vincenzo Coronelli, cosmografo della Serenissima, con la sua armoniosa volta disseminata di stelle e di pianeti.

Contemplando questi magnifici oggetti d’arte si può sfiorare il senso più intimo, e addirittura, forse, l’entelechia della sede storica della Biblioteca nazionale di Francia, la «BnF Richelieu», che esattamente un anno fa veniva inaugurata nella sua nuova veste, frutto di un restauro durato quindici anni tra biblioteca e spazi del museo annesso, e di un investimento da oltre 300 milioni di euro tra fondi pubblici e donazioni. Se si osserva da vicino il globo, in effetti, si può verificare che le legende sono scritte in italiano ma la nomenclatura delle costellazioni è trascritta in francese, latino, greco, e a volte in arabo. Sono le lingue della astronomia classica, e assolvevano alla funzione assegnata da Coronelli ai suoi manufatti, una funzione scientifica, pedagogica, e artistica, alla quale oggi se ne aggiunge una nuova, compresa in tutte le altre: una funzione museale.

È sotto questo segno polimorfo, iscritto tra le sue mura, che iniziò un nuovo capitolo della biblioteca reale francese. Ed è qui, da questa impressionante galleria gallo-barocca voluta dal Cardinale Mazzarino, che sarebbe meglio – tradendo forse qualche saggio consiglio museologico – cominciare l’esplorazione del luogo. Sì, perché se il magnifico colpo d’occhio del salone rapisce lo sguardo, e si riesce poi a riportare gli occhi giù, grazie alla bellezza del globo e della sfera armillare, ecco allora che dalle teche, lungo la galleria, comincia a affiorare, pagina dopo pagina, quella che Alain Resnais in un film girato qui negli anni Cinquanta aveva chiamato Toute la mémoire du monde: un esemplare della prima edizione degli Essais di Montaigne (verrebbe da dire rarissimo, se non fosse che un’altra copia, peggio conservata, era emersa qualche settimana fa dall’inventario della biblioteca personale di Milan Kundera, sempre a Parigi ma stavolta rive gauche); il «Cahier 54» dai manoscritti della Recherche di Marcel Prousttutti e 95 i «cahiers» sono gelosamente custoditi qui –, spalancato su una pagina fitta di freccette e cancellature che indurranno qualche lettore al fremito quando non al pianto; il quadernino a quadretti dove Samuel Beckett scrisse, si direbbe con sottili pennarelli colorati, En attendant Godot; fogli manoscritti della Lettre du voyant di Rimbaud (!), di Verlaine, di Victor Hugo, e moltissimi altri; il manoscritto autografo del Don Giovanni di Mozart, e quello dell’Appassionata di Beethoven.

Ecco, allora, che si può tornare al piano terra, passando davanti alla Galerie Mansart, oggi adibita all’allestimento delle mostre temporanee (da poco conclusa la suggestiva, preziosa «Degas en noir et blanc»). Ci si ritrova nel giardino di ingresso dove Henri Labrouste aveva voluto far costruire una grande fontana circolare, conservata dal restauro. Siamo tornati al 5 di Rue Vivienne, nel II arrondissement. Passati i controlli di sicurezza, il giardino si offre al visitatore intimo e accogliente. Su progetto dell’architetta Mirabelle Croizier e del paesaggista Antoine Quenardel, ispirati dall’artista e scrittore Gilles Clément, è stato creato qui un giardino «papirifero», sorta di prolungamento simbolico della biblioteca, che ospita piante adoperate storicamente per la produzione della materia prima adibita alla scrittura e alla stampa.

«Alias» viene accolto da Gennaro Toscano, accademico, consigliere scientifico della direzione delle collezioni per il museo, la ricerca e lo sviluppo delle collezioni, e insegnante di Storia del patrimonio e delle collezioni presso l’École nationale des chartes, l’istituto di studi superiori che si occupa della formazione scientifica dei dirigenti delle biblioteche e degli archivi statali francesi. Raccontando la storia della biblioteca e quella del restauro il professore non trattiene un entusiasmo contagioso. Sottolinea la storia di polo didattico e pedagogico della biblioteca («qui si tennero i primi corsi di archeologia in Francia, alla fine del Settecento»): una tradizione recuperata e vivificata dal nuovo corso post-restauro. Entrando nel corridoio di ingresso, appare la prima grande sorpresa, la rivoluzione architettonica che ha suscitato polemiche a non finire: non c’è più il vecchio «Escalier d’honneur» voluto da JeanLouis Pascal, che portava al piano superiore dove ci sono le sale del museo. Al suo posto, un’agile e sinuosa scala a spirale, in metallo sottilissimo, proposta dagli architetti come il solo modo di rendere più ariosi e aperti gli spazi della biblioteca, in ossequio al principio del recupero della funzionalità del luogo. Le due leggendarie sale di lettura, la «Salle Ovale» di Pascal e la «Salle Labrouste», sono di nuovo scintillanti, e adesso anche ospitali, organizzate come le più moderne sale di lettura pubbliche, la prima con tanto di monitor interattivi, e spazio dedicato ai più piccoli («Per entrare, qui, nessuno vi chiederà mai un documento», dice orgoglioso Toscano); la seconda riservata agli studiosi dell’Inha, l’Institut national d’histoire de l’art.

Alla metà del XVIII secolo un’altra scala a spirale – ma il ricorso storico è una pura coincidenza – fu  fatta costruire per rendere accessibile al pubblico (due volte a settimana) il Cabinet du roi, quando le collezioni di medaglie e preziosità antiche dei reali non erano riservate che a pochissimi (parliamo oggi della seconda collezione di vasi greci in Francia, e di straordinarie collezioni di oggetti antichi): è de facto il primo museo-biblioteca di Francia, quando il concetto stesso di museo, ottocentesco, non era ancora diffuso (il Louvre fu inaugurato parzialmente, in quanto museo, nel 1793, dopo la Rivoluzione).

La storia della biblioteca è ancora più antica: le sue origini vanno ricercate sulle rive della Loira, ad Amboise, poi a Blois tra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento, quando furono radunati più di mille volumi in questi due castelli. Negli anni Sessanta del Seicento la prima svolta: fu l’oggi poco amato Jean-Baptiste Colbert, da primo ministro di Francia, a far trasferire la «Bibliothèque du roi» a rue Vivienne, di fronte al palazzo di Mazzarino. Colbert vi aggregò poi il Cabinet du roi, con le sue ricche collezioni numismatiche e archeologiche, e fece comprare dalla biblioteca l’importantissima collezione dell’Abbé de Marolles formata da più 80.000 stampe e disegni. Nel 1721, tutte le collezioni della biblioteca attraversarono la strada e furono sistemate nell’allora vuoto palazzo del cardinale, del quale dividevano gli spazi con la Borsa e la Compagnia delle Indie. Robert de Cotte, Henri Labrouste e poi Jean Louis Pascal, architetti della biblioteca, lasciarono il proprio segno indelebile dal Settecento agli inizi del Novecento (il restauro ha rinnovato e reso accessibile, oltre alla «Salle Barthélemy» – tutta in legno, dove anche le didascalie nelle teche sono impresse su carta pregiata – il Salone Luigi XV, vale a dire il settecentesco Cabinet du roi, che Pascal aveva «ricomposto» restituendo una Period Room).

Poi venne il Novecento. Già il documentario di Resnais mostrava come la «Memoria del mondo» fosse stipata in realtà in spazi assai angusti, e spesso inservibili: «una fortezza», la definisce il narratore del film. Un curioso piano di ristrutturazioni tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta volle che fossero costruiti, nella «Sala delle colonne» che oggi è l’ingresso al museo, dei mezzanini che rendevano lo spazio asfittico e lugubre: il museo diventava piuttosto un polveroso deposito di oggetti preziosi. Il presidente della Repubblica François Mitterrand assestò quello che sembrava il colpo di grazia: nel 1988 annunciò il progetto di una nuova sede per la Biblioteca nazionale di Francia. Fu individuato il sito di Tolbiac, dove oggi sorge la gigantesca opera architettonica di Dominique Perrault, le quattro torri angolari «aperte come libri»: è la «Bibliothèque Mitterrand», dove sono stati trasferiti tutti gli stampati e le collezioni audiovisive dalla sede Richelieu (restano qui i manoscritti, le stampe e le carte geografiche, le fotografie, la musica, le arti dello spettacolo).

I lavori di restauro e rilancio sono partiti nel 2007. Il risultato è un punto di riferimento nuovo – anche se antico – per la città: camminare tra le stanze del museo è un piacere anche se non ci fossero i tesori che pure sono distesi tra le vetrine (i mezzanini sono stati sdegnosamente abbattuti. Il progetto museografico è stato affidato allo studio fiorentino Guicciardini&Magni). La nascita della «BnF Mitterrand» metteva in discussione qualcosa di più che la funzione di biblioteca pubblica del «Quadrilatero Richelieu»: il restauro, portato avanti dagli architetti  Virginie Brégal e Bruno Gaudin, doveva rispondere alla più profonda domanda di «apertura» dei luoghi monumentali del sito, un sito-patrimonio, ormai scarsamente fruibile a causa della sua «densità» architettonica. Ecco che la linea guida del restauro è stata quella di una trasformazione, più che di un rinnovamento, che provasse a «svuotare» gli spazi, renderli ariosi, accessibili (e a norma di sicurezza). Tra gli scacchi di Carlo Magno sotto teca, le collezioni antiche, e la grande sala di lettura pubblica, c’è adesso dialogo di luce, di varchi, di prospettive. Dalla «Sala delle colonne», dove comincia l’esposizione, si vede in prospettiva un inestimabile tesoro di oggetti romani che la Biblioteca strappò al Louvre nel 1830, dopo il rocambolesco ritrovamento di un contadino in Normandia e la corsa ad accaparrarsi la trouvaille. Qui la scelta, nel solco della vocazione didattico-pedagogica della biblioteca, è di esporre e raggruppare gli oggetti antichi secondo criteri tematici, e non cronologici. Ampi monitor propongono visite guidate interattive, con una interfaccia ludica ma di livello scientifico. Le teche sono ampie e luminose, gli oggetti aderiscono al piano mediante invisibili calamite, favorendo una impressione di ordine e di leggerezza degli spazi. Superata la grande teca con gli argenti romani, si accede di seguito alla «Sala di Luynes», che ospita la collezione di monete, bronzi, sculture e soprattutto vasi greci. Lì finiva la visita prima del restauro. Oggi si prosegue con la «Sala Barthélemy» e il «Salone Luigi XV».

Arrivati in fondo, non resta che tornare indietro, attraversare all’indietro le «Colonne», e rituffarsi, prima di scendere di nuovo nel giardino, nella Galerie Mazarin. Se prima sembrava inevitabile il tremore davanti ai segni di pennino impressi nella carta dai poeti, adesso quella stessa emozione si stempera in una curiosa sincronia delle bellezze che mette tutto in comunicazione, le note di Mozart con i manoscritti di Beckett, un Corano del 1300 con un cammeo romano, gli affreschi di Romanelli con una statuina dell’Egeo, gli ori reali con una cancellatura da un foglio di Les années di Annie Ernaux, l’ultimo manoscritto esposto, come a segnare un cammino che deve continuare, un work in progress. E non c’è bisogno di sfoderare il telefono e azionare la pur brillante applicazione della BnF che consentirebbe di ascoltare la pagina dallo spartito della Appassionata aperta sotto la teca. La musica del mondo è già nell’aria, arriva da lontano con vecchie note di clavicembalo, ma disperde la sua scia da qualche parte nel futuro, con strumenti ancora sconosciuti.

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