Scomparso l’undici febbraio dell’anno scorso all’età di sessantanove anni, Jiro Taniguchi rimane ancora oggi uno degli artisti del fumetto giapponese che più hanno saputo conquistare e toccare la sensibilità di un certo pubblico occidentale, soprattutto attraverso le sue storie più minimaliste e contemplative. Fumettista il cui tocco, a torto o a ragione, lo ha fatto spesso accomunare più ad artisti europei o americani che a mangaka del Sol Levante, Taniguchi si è rivelato al pubblico europeo a metà degli anni novanta, in Francia prima ed in Italia poi, diventando un vero e proprio autore di culto con capolavori quali L’uomo che cammina, Allevare un cane o Quartieri Lontani.

È uscito il 31 gennaio Blue Fighter (Edizioni J-Pop Manga, traduzione di Roberto Pesci, 290 pagine, brossurato) un lavoro ambientato nel mondo del pugilato professionistico ed un fumetto mai approdato prima nel nostro paese. Si tratta di un Taniguchi inedito sia perchè fisicamente il fumetto non è mai stato pubblicato in Italia, sia perchè presenta al pubblico dei lettori italiani un Taniguchi dallo stile diverso da quello per cui solitamente è più conosciuto. Un’opera giovanile, al tempo della pubblicazione, il 1982, Taniguchi aveva 35 anni, ma giovanile da intendere non tanto in senso anagrafico quanto piuttosto come parte della sua maturazione artistica, in cui l’artista giapponese infonde alle sue tavole una sfumatura più pulp e hard boiled rispetto ai lavori maturi. Del resto alcuni dei lavori precedenti, quelli disegnati nella seconda metà degli anni settanta e nati dalla collaborazione con Natsuo Sekigawa come Rind!3 o Muboi toshi, già esploravano questo stile e queste tematiche e Taniguchi nella sua carriera ha spaziato in molti generi, dal western alla fantascienza fino alle avventure storiche.

Siamo quindi in un periodo della sua evoluzione artistica in cui Taniguchi non era stato ancora infuenzato, non in maniera definitiva almeno, dal fumetto occidentale, ed in cui le varie collaborazioni con sceneggiatori influivano pesantemente nel tono finale delle storie. Blue Fighter è scritto da Taniguchi con Garon Tsuchiya, qui sotto lo pseudonimo di Caribu Marley, con cui in pochi anni realizza, oltre al fumetto in questione, altre storie ambientate nel mondo della boxe come Knukle Wars e Live Odissey. L’incontro con Tsuchiya anch’egli scomparso recentemente e sceneggiatore meglio conosciiuto per aver scritto la storia di Old Boy, manga da cui fu tratto l’omonimo film di Park Chan-wook, è importante perchè contribuisce a creare un fumetto che è allo stesso tempo impregnato di una poetica realista, nera e grezza, ma che riesce ad illuminarsi anche di toni lirici ed attraverso un approccio narrativo inaspettatamente aperto e sperimentale.

Blue Fighter racconta la storia di Reggae, un talentuoso pugile ma alcolizzato e con un record perdente che grazie all’incontro con il promoter americano D’Angelo comincia a scalare le classifiche ed i palcoscenici internazionali della boxe. Ma Reggae, che nel fumetto non parla quasi mai, sembra non essere interessato a niente, men che meno ai soldi o a vincere gli incontri, nichilista fin dentro l’anima porta questo istinto di morte e disperazione assoluta dovunque vada e in maniera totale e rabbiosa sul ring.

Il pugilato è stato spesso lo sport che meglio di altri ha saputo colpire l’immaginario popolare per la sua capacità di rappresentare, con un velo di poetica malinconia, storie di vita quotidiana, sofferenze, ingiustizie sociali e tragedie personali. Per queste ragioni in molte occasioni la boxe è stata protagonista di film, telefilm, serie animate o fumetti con cui scrittori, registi o artisti in generale hanno rappresentato gli strati più bassi della società. Blue Fighter è un lavoro dai toni avventurosi e forti, anche graficamente, dove non mancano la violenza ed il sesso, la descrizione di un mondo che è un coagulo di istinti bassi, corruzione, scommesse e gruppi di potere da una parte, e afflato mistico e quasi metafisico dall’altra. Uno dei pregi di Blue Fighter è la capacità di creare un’opera di ampio respiro sia geografico, sia storico-sociale, le vicende si spostano dall’arcipelago nipponico alla Florida e dal Sud America fino al Tibet, con flash back che connettono il presente della storia, i primissimi anni ottanta, un presente che viene tessuto anche grazie a micro riferimenti a Muhammad Ali, Larry Holmes e Star Wars fra le altre cose, con il passato recente del Sol Levante. L’Armata Rossa giapponese, il gruppo terroristico attivo negli anni settanta, il suicidio rituale di Mishima nel 1970 ed in generale il senso di irrequietezza, fallimento ed il ricorso alla violenza che caratterizza certa parte degli anni settanta giapponesi, arricchiscono e donano un diverso spessore alla storia disegnata da Taniguchi.

Uno dei riferimenti artistici che appare più evidente è Ashita no Joe, Rocky Joe in italiano, manga e anime che hanno fatto la storia dei due media, omaggiati anche nello stile dei disegni utilizzati, realistici e quasi espressionistici, soprattutto durante gli incontri di pugilato, con il doppio pugno fra i due boxer che richiama una delle tavole più famose del manga di Asao Takamori. Così come Ashita no Joe, prima di essere un fumetto e cartone animato sportivo, rimane ancora oggi un grandissimo esempio di affresco sociale di un’epoca, un’opera con cui Takamori non ha paura di guardare alle parti basse e neglette della società nipponica del dopoguerra, allo stesso modo Blue Fighter offre una sorta di ellittica riflessione, in negativo, sulla fine dei sogni e delle speranze collettive degli anni sessanta-settanta. Il silenzio del protagonista ed il percorso di distruzione personale a cui sembra essere destinato è forse la sola risposta e la sola resistenza verso un’epoca storica che aveva infranto tutti i sogni di una generazione, ricapitolando la nichilistica disperazione e lo sbocco in un individualismo quasi messianico di fine decennio.