Como San Giovanni ultima fermata, poi sarà Svizzera. Ma la frontiera con Chiasso è chiusa. E chi cerca di proseguire il suo viaggio iniziato da qualche parte nel nord Africa o da qualche terra del Medio oriente viene respinto. Non tutti, ma moltissimi, la maggior parte. «Non ho informazioni ufficiali però mi hanno detto che sabato scorso il sindaco ha dichiarato pubblicamente che sono passate 3.500 persone – racconta don Giusto Della Valle, parroco di Rebbio, una piccola frazione a sud di Como, che da anni si occupa di accoglienza – Le informazioni che abbiamo dicono che ogni giorno qualcuno passa e passa ufficialmente. Quindi c’è anche da intendersi tra le autorità elvetiche, la città di Como e la prefettura su quale “politica” si sta attuando perché attualmente non si sa bene quale sia la politica della Svizzera, se è disposta ad accogliere e nel caso quante persone; non si sa se ha fissato dei numeri o tetti di contingente in base al paese d’origine. In questa situazione caotica, tra autorità elevetiche e città, penso sia necessario spiegare quali siano le intenzioni altrimenti si agisce male e si lavora male restando nel caos», conclude il parroco mentre assiste alla distribuzione del pranzo organizzato, come ogni giorno nel parco della stazione, dall’associazione Svizzera Firdaus. La notizia che qualcuno riesce a superare il confine è confermata anche da alcuni organi di informazione svizzeri che riportano di un 10-15% di transiti giornalieri tra passaggi legali e illegali.

Gli oltre 500 migranti bloccati qui, di cui 200 minorenni completamente soli, secondo i dati registrati dall’Unhcr, sono assistiti solo ed esclusivamente dall’attività solidale di centinaia di persone di Como e della vicina Svizzera. È la parrocchia di San Eusebio a sfamare i migranti a cena. In una scuola privata è adibito il servizio docce diurno. La croce rossa di Como ha allestito una piccola tendopoli per 32 persone a qualche minuto a piedi dalla stazione, oltre che container bagni e doccia davanti a San Giovanni. Perché quando la stazione chiude i servizi si chiudono con lei.

Ogni giorno il numero dei migranti cresce: alcuni riescono a passare oltre il valico di Ponte Chiasso, come ci raccontava don Giusto, ma moltissimi arrivano. Arrivano a Como perché qui si è vicini alla frontiera e a volte si riesce a superare il confine, ma anche perché l’organizzazione dei migranti qui è importante. «Ogni giorno attorno alle 18.00 fanno una riunione tutti e tutte per condividere informazioni e notizie, ma anche per organizzare la notte», racconta un volontario. Chiunque lavori o abbia lavorato con i migranti denuncia l’assenza preoccupante delle istituzioni. Una ragazza dice: «Qui ha vinto il Pd dopo oltre vent’anni di Lega Nord. Il sindaco non ha il coraggio di prendersi la responsabilità di dare accoglienza, per paura della Lega». «Non è un problema di cui la sola Como può farsi carico», ha avvertito il sindaco Mario Lucini.

Ieri la Provincia, il giornale locale, titolava: «Profughi a breve via dalla stazione». Così mentre il prefetto, Bruno Corda, ha negato la possibilità d’istituire lo stato d’emergenza «perché la situazione è transitoria», ministero dell’interno e prefettura dovrebbero individuare una struttura in grado di accogliere i migranti entro martedì. La stazione di Como è uno dei biglietti da visita per i turisti che arrivano in città, e si sa che nella società del decoro non si può abbandonare alla vista dei passeggeri il dramma di un viaggio negato. Le ipotesi al vaglio sono diverse, una struttura fissa, come la caserma De Cristoforis, o la creazione di una tendopoli.

Il modello è quello usato a Ventimiglia.

C’è un comune denominatore che emerge parlando con i ragazzi e le ragazzi, eritrei, etiopi, somali o libici che affollano l’atrio della stazione San Giovanni di Como: nessuno di loro vuole restare in Italia, la stazione e le sue vicinanze sono un luogo da cui non vogliono spostarsi perché appena possibile vogliono prendere il treno che li porterà al di la del confine. La paura di «perdere un giro», stando più «comodi» ma lontani in un centro d’accoglienza, è grande. Non vogliono andarsene da lì.

D’altro canto la maggior parte delle strutture che supportano attivamente la vita dei migranti davanti alla stazione da fine agosto non saranno più disponibili, dalle docce alla mensa di San Eusebio, che torneranno al loro uso abituale, la scuola.