Il peace and love tra Usa e Autorità nazionale palestinese, dopo quattro anni di Donald Trump, sono stati preceduti da una gaffe di Abu Mazen. Il presidente dell’Anp accogliendo il segretario di Stato Antony Blinken ieri a Ramallah ha dato il benvenuto al «segretario di Stato Clinton». Poi si è corretto. «È già un miglioramento» ha replicato Blinken. Poi tutto è filato liscio. Con Abu Mazen sorridente come se avesse davanti l’uomo che darà uno Stato ai palestinesi e Blinken a riassumere in una donazione extra per Gaza da 5 milioni e mezzo e l’annuncio della riapertura del consolato Usa a Gerusalemme Est, la presunta volontà dell’Amministrazione Biden di rilanciare il «processo di pace». Il capo della diplomazia Usa ha quindi elencato le «azioni unilaterali» che palestinesi e israeliani non dovranno compiere per non minare «le prospettive per una giusta e durevole pace» in Medio Oriente: «attività di colonie, demolizioni di case, annessioni di territori, istigazione alla violenza o compenso per individui che commettono atti di terrore». Davvero Washington sanzionerà Israele per l’espansione delle sue colonie in Cisgiordania? Difficile solo immaginarlo, sarebbe una svolta epocale. Forse occorre far riferimento più a ciò che Blinken aveva detto qualche ora prima incontrando il premier israeliano Netanyahu, quando ha ribadito con forza l’impegno Usa «per la sicurezza di Israele». E ha precisato, con Netanyahu accanto, che i milioni di dollari per la ricostruzione di Gaza saranno consegnati solo se neanche un centesimo sarà usato dal movimento islamico Hamas. Non ci sono novità sostanziali rispetto alla politica Usa degli ultimi 30 anni, escludendo la parentesi dei quattro anni di Trump alla Casa Bianca. Le differenze con Israele sono rispetto all’Iran. «Spero che gli Usa – ha detto Netanyahu – non tornino all’accordo sul nucleare». Quindi ha aggiunto: «Qualunque cosa succeda, Israele si riserva il diritto all’autodifesa».