«We are the people without land / We are the people without tradition / we are the people who do not know how to die». Fasci di luce illuminano dall’alto sei danzatori in una scena livida. Le parole della poesia scritta da Lou Reed negli anni ’70 e riadattata l’anno scorso da Iggy Pop in ricordo dell’amico risuonano nel vuoto. Scelte da Emio Greco e Pieter C. Scholten per aprire il loro Blasphemy Rhapsody, spettacolo inquieto, portatore di un’energia compressa quanto esplosiva, nato quest’anno con le giovani generazioni dell’ICK di Amsterdam e andato in scena in prima italiana nella stagione di danza del Teatro Comunale di Ferrara.

EMIO GRECO, origini pugliesi, con Scholten un viaggio in Olanda nella contemporaneità della danza che ha ormai raggiunto i 25 anni di storia, porta in scena in Blasphemy Rhapsody un mix di fragilità e forza, paura e reazione, una rapsodia musicale e coreografica pulsante, emblema di un periodo storico in cui l’arte, come tutto il resto, è stata inesorabilmente chiusa tra pareti. Un moto fisico, psicologico scardinante, il desiderio di ritrovare l’incontro con l’altro e con tutto ciò che è lontano, distante da sé, a fronte di una realtà di limiti spaziali, temporali, sociali, a lungo non valicabili.
Greco, classe 1965, di Blasphemy Rhapsody è il demiurgo. Entra dal fondo, dal centro, figura nera con calza sul volto, un gesto, una camminata, di nettezza folgorante, arriva tra i sei giovani danzatori, tutti in bianco, li incalza, li incita in un movimento che ha il suo impulso come fulcro, spronato da un sound design che attraversa voluttuosamente più mondi, dalla pizzica al charleston fino a Eminem. La danza è un crescendo tra assoli e unisoni, dal ritmo dalla pizzica deriva la trance.

TORNANO ELEMENTI amati da Greco e Scholten, come i nasi da clown, non più rossi, ma neri. E Greco diventa un joker dall’umore appesantito, nel furore di una camminata sghemba. Alle spalle dei danzatori, bravissimi, enormi pannelli ritratto deformano i corpi, alla fine li vedremo nei riquadri di zoom attraverso i quali, nei diversi lockdown, Blasphemy Rhapsody ha trovato la sua forma.

IL PEZZO SI CHIUDE con una danzatrice che urla di nuovo le parole di Iggy Pop mentre i danzatori, diventati tantissimi, avanzano verso il proscenio dove sventola una bandiera bianca. È la resa? O forse solo la richiesta di una pausa dalla fatica che tutti conosciamo? L’aria fredda che esce dai due ventilatori investe il pubblico del Comunale, accomunandolo nella «casualty of daytime, nighttime, space, and God/ Without race, nationality, or religion/ We are the people, and the people, the people». E gli spettatori applaudono uno spettacolo che ha autenticità di segno.
Domani, alle 18.00, al LAC di Lugano, altro appuntamento con Emio Greco e Scholten. In prima assoluta va in scena We Want it All, un percorso tra i finali di quasi 60 loro creazioni, un gioco per aprire la strada a un inizio ancora da scrivere.