Non si sente neppure odore di marijuana, i tempi di Siamo solo noi sembrano lontani. Non si vedono i reietti, gli esclusi, gli ultimi, i tanti personaggi border line le cui vite sono state urlate e cantate da Vasco ad inizio carriera, e che negli anni in cui il rocker di Zocca era considerato «maledetto» riempivano i suoi concerti trasformandolo, volente o nolente, in «mito».

Le colonne di persone che attraversano la città di Modena rispettano anche i semafori, nonostante per lunghi tratti il traffico sia chiuso. Anche i rifiuti sono riposti negli «appositi» cestini e quando, alle 15.30 «strabordano», la spazzatura viene ordinatamente messa a terra. Chi griderà al degrado e alla sporcizia speculerà sul nulla o sulla naturale difficoltà di gestire centinaia di migliaia di persone. Non ci sono code per entrare in città, in tanti e tante sono già tutti dentro Modena Park.

La periferia è silenziosa ma ogni bar è aperto, cartelli che indicano la presenza di birra e panini sono ovunque.

Davanti a me una fan un po’ ageé ha deciso di trasformare la sua testa e i suoi capelli nella copertina di Nessun Pericolo per Te. È arrivata in pullman da Milano, al concerto della vita non può proprio mancare.

In centro il clima cambia improvvisamente: nessuna saracinesca abbassata, tutti i negozi aperti con i modenesi (ma una parte ha deciso di lasciare la pazza folla per dedicarsi a un salutare weekend prolungato…) lì ad osservare la pacifica invasione.

Molto felici i commercianti, astuti, che hanno anticipato i saldi e prevedono dall’invasione dei 220 mila un indotto pari a 6 milioni di euro. Per un evento che si è trasformato in una mirabolante «macchina da soldi», con oltre 13 milioni di euro incassati con la vendita dei biglietti e i soldi ricavati dal merchandising.

Un evento monstre, come gigantesco è il palco largo 150 metri, una struttura immaginata come un palazzo di otto piani su cui è stata montata una scenografia tecnologica, con oltre 1500 metri quadri di schermi in movimento.

Sono in tanti nelle strade con le bandane di Vasco, i cappellini e le t-shirt con stampate le frasi dei pezzi celebri del rocker. Il «popolo» riempie l’area placidamente in un clima di pacifica convivenza. Chi vive all’inizio del parco addirittura gioca con il pubblico, e dai balconi rinfresca il serpentone bagnandolo con una canna dell’acqua.

C’è un clima di solidarietà: le ragazze bolognesi arrivate venerdì sera in short e canottiera raccontano di essersi «salvate» dalla pesante escursione climatica notturna grazie al provvidenziale aiuto di una signora che ha regalato loro delle felpe.

I fan di Vasco non hanno età; padri, nonni, figli, nipoti, generazioni accomunate dalla «fede» per Blasco.

Loris, si è fatto autografare il braccio dal suo idolo e ha deciso di renderlo «immortale»: ora è tatuato in maniera indelebile. Di certo nei quattrocento metri quadrati del Parco Ferrari si raduna una rappresentanza molto nutrita del Belpaese. Si sentono i dialetti di ogni regione: davanti a me in fila un gruppo di sardi imbarcati due giorni fa da Cagliari, dietro una coppia di Fabriano che si «stupisce» di essere già all’ingresso e di aver parcheggiato a solo due chilometri. I controlli non sono accuratissimi e perlopiù molto rapidi, anche se per entrare si passano almeno tre filtri.

Sorridono tutti e tutte, non c’è proprio più nulla di maledetto nel pubblico di Vasco. I miei ricordi corrono rapidamente al suo concerto ad inizio anni ’90 all’ippodromo di Varese, sempre tanta gente ma nell’aria si respirava qualcosa di diverso.

Forse che la redenzione dei testi di Vasco diventati nel tempo più «rassicuranti» e meno «ribelli» di un tempo ha contagiato anche il suo pubblico? Certo Vasco non ha mai rinnegato nulla, ma probabilmente molti dei presenti a Modena Park non avrebbero parole indulgenti verso la varia umanità che ha trasformato Vasco in mito…

È più di un’impressione, lo si sente dai commenti di chi seduto tra gli alberi del parco parla delle abitudini di alcuni amici che sono rimasti a casa perché non si sono svegliati per aver esagerato la sera prima.

È comunque una festa popolare e di popolo.

Giovanissime e persone canute, genitori con bambini (piccolissimi, ancora in culla) ragazzini e non. Vederlo in tv seguendo la diretta su Rai1 di Bonolis?: «Ma per carità – rispondono inorriditi – qui si vive la storia. Piuttosto al cinema».

Già perché «il pacchetto evento» non si è fatto mancare nulla, anche la possibilità di assistere al concerto comodamente seduto nella platea delle 140 sale che proietteranno lo show. È una festa tanto popolare che la musica d’attesa spazia dall’evergreen degli Eurythmics Sweet dreams a ogni tipo di brano da heavy rotation radiofonica. La fantasia dei fan si vede nelle magliette, centinaia di gruppi si presentano all’appuntamento con t-shirt autoprodotte. «È andata a casa con il negro la troia» scritta in nero su maglia bianca cattura l’attenzione: il testo di Colpa d’Alfredo oggi come sarebbe recepito, recensito e raccontato? Sarebbe stato accusato di razzismo o sessismo? Oramai è consegnato alla storia e accettato acriticamente.

Le stravaganze sono tante, tatuaggi con parti di canzoni di Vasco sul petto, copertine e in alcuni casi anche il volto del Rocker. Immancabili, come in tutti gli eventi estivi 2017 in cui Livenation ha ruolo importante in produzione, i token venduti a multipli di cinque e non rimborsabili. Un elicottero della polizia sorvola senza pause il parco, l’ossessione della sicurezza diventa occasione di marketing. Un po’ come tutto lo scenario in cui 220mila persone assistono al concerto di un sopravvissuto che ha una storia un po’ più complessa di quella che il pubblico di oggi racconta.