Per tutti quelli che dopo l’ultima manifestazione in cui si è verificato il ferimento del sindaco di Terni, Leopoldo Di Girolamo, si aspettavano una giornata di mobilitazione tesa, magari con scontri o incidenti, è andata male, ma è andata bene – se così si può dire, visti i tempi – ai lavoratori, protagonisti di una protesta operaia come non se ne vedevano da un bel po’.

C’erano davvero tutti, dagli studenti, alle altre fabbriche del comprensorio – alcune delle quali in crisi – ai gonfaloni comunali di tutta l’Umbria, fino alle delegazioni di Piombino e Taranto, a sottolineare quanto la vertenza di Terni parli a tutta la siderurgia.
La città umbra nella mattinata si è letteralmente fermata per lo sciopero provinciale indetto da Cgil Cisl e Uil a sostegno delle acciaierie. Quanto queste siano importante per la città lo dimostrano gli esercizi commerciali, tutti o quasi con le saracinesche abbassate, e un cartello appeso fuori: «Chiudiamo oggi per non chiudere per sempre».
Nel sole cocente non sono mancati nemmeno gli ombrelli, distribuiti copiosamente davanti ai cancelli della fabbrica fin dal primo mattino da operai e sindacalisti che, ironizzando sul recente ferimento del sindaco, indossavano anche fasce tricolori finte: «Fascia tricolore anti-randello», ci dice scherzando Maurizio, membro del direttivo Fiom di Perugia. Ma la verità è che quanto sia delicata la situazione di questa importante acciaieria lo sanno in tanti, a cominciare dai lavoratori della Compagnia Portuale di Civitavecchia – tutti iscritti Cgil quelli giunti a Terni – arrivati per portare solidarietà. Anche loro fanno parte dell’indotto di questa grande fabbrica che rappresenta, suo malgrado, la cartina di tornasole di quello che Susanna Camusso ha definito «un Paese surreale, in cui bisogna scendere in piazza per difendere una fabbrica che va bene».

Quella di Terni è un’acciaieria che si caratterizza per produzioni ad alto tasso di tecnologia, dove non più tardi di due anni fa è stata realizzata la fusione di un rotore da 500 mila tonnellate per la produzione di energia elettrica, una lavorazione che al mondo sono in grado di effettuare tre o quattro siti al massimo, e tra questi c’è quello umbro. La proprietà – il colosso finlandese dell’acciaio Outokumpu e la società per l’acciaio inossidabile della Thyssen, Inoxum – deve vendere lo stabilimento per ingiunzione della commissione Ue, ma sulla vendita non si sa niente, né ci sono tempi certi per la transazione. La sola cosa nota è che l’unica offerta finora ricevuta dai proprietari delle acciaierie, per ammissione dello stesso commissario Ue Joaquìn Almunia, è da ritenersi insoddisfacente. «Il problema – racconta a il manifesto Emilio, operaio del tubificio Ast (Acciai speciali Terni) – è che con il protrarsi della trattativa per la vendita, l’acciaieria può perdere clienti, rischiando di arrivare all’atto conclusivo della vicenda molto ridimensionata. Ciò significherebbe riduzione dei volumi produttivi, centinaia di esuberi, e la perdita di un sito strategico nazionale».

Massimo D’Alema, arrivato a Terni «perché – afferma – si tratta di difendere la siderurgia italiana», assicura che telefonerà personalmente ad Almunia, ma probabilmente, considerando che Outokumpu oltre a Terni ha stabilimenti in Messico, Alabama, Finlandia, Svezia, Shangai e Brasile, il problema non è l’impegno – poco rassicurante – di qualche volto noto della politica, quanto quello di un Paese privo di una politica industriale. Proprio alcuni giorni fa, in occasione della presentazione del Piano Europeo dell’acciaio, la delegazione che da Terni è partita alla volta di Strasburgo ha avuto un incontro con Almunia. Il governo italiano non era rappresentato, e in un mercato particolarmente «politico» come quello degli acciai speciali, caratterizzato da attori internazionali e in cui l’importanza della distribuzione delle quote è strategica, è un’assenza che si rischia di pagare a caro prezzo.