«Il vertice di Parigi ha avuto almeno tre risultati positivi», dice il viceministro degli Esteri Mario Giro. «Il primo è la fine della rivalità franco italiana, non voluta dall’Italia, sulla Libia. Questo perché la presenza a Parigi di Serraj riconosciuto come il premier del governo con cui bisogna negoziare, naturalmente insieme a tutte le altre parti, rafforza il processo Onu. Il secondo è l’inizio della fine del trattato di Dublino. Dopo l’Italia, che lo chiede da tempo, o la Germania, che lo chiede da un po’ meno tempo, ora anche la Francia ha ammesso che bisogna cambiarlo. Il terzo è il coinvolgimento dei Paesi africani. Non dobbiamo limitarci a guardare alla crisi soltanto con l’ossessione migratoria, quindi da nord, ma vedere anche cosa significano questi spostamenti di popolazioni e questi traffici per i Paesi del sud. E per loro sono una questione di sopravvivenza perché i traffici minano le basi stesse della loro esistenza. Se crollano avremo una seconda, una terza Libia e non ne abbiamo bisogno».

intervista migranti Marco Giro

 

A Parigi i leader europei hanno dimostrato di apprezzare la politica adottata dall’Italia con la Libia. Di fatto però stiamo bloccando i migranti in Africa.
Bisogna distinguere tra Africa e Libia, perché un conto è provare a trattenerli in Africa con programmi di investimento come quelli che gli italiani hanno proposto e con l’aiuto pubblico allo sviluppo. Altro discorso è trattenerli in Libia dove io stesso mi sono permesso di ricordare che i centri di detenzione sono un inferno. Dobbiamo aiutare i libici a ricomporsi come Stato, ma dobbiamo anche aiutarli a diventare uno Stato più democratico. Noi insistiamo perché sia permesso a Unhcr e Oim di entrare immediatamente nei centri di detenzione e prenderne i controllo trasformandoli in campi dove sia possibile fare richiesta di protezione umanitaria.

I campi di accoglienza di cui parla però non esistono ancora e i migranti fermati dalla Guardia costiera libica continuano a essere richiusi nei centri di detenzione. In Niger già ci sono campi profughi e l’Europa si prepara ad aprirne altri anche in Ciad. Che garanzie ci sono che non finisca come in Libia?
In Ciad non credo che ce ne sarà bisogno, il flusso è ancora piccolo. Per il resto operiamo proprio perché non finiscano come i centri libici. Vorremmo tutti i programmi di rimpatrio assistito, come l’Oim sta facendo già da tempo. Bisogna però che siano accompagnati da una vera politica di sviluppo.

A Ferragosto il ministro Minniti si è detto assillato dal pensiero che i migranti vengono riportati in Libia.
È giusto. Era quello che dicevo io a inizio agosto. Condivido questo assillo, al punto che stiamo lavorando perché l’Unhcr e l’Oim abbiano presto la capacità di avere libero accesso a queste persone.

Sia la cancelliera Merkel che il residente Macron concordano sulla necessità di riformare Dublino. Però finora tutte le proposte all’esame continuano a penalizzare i paesi di primo arrivo come Italia e Grecia. Non c’è il rischio che alla fine non si faccia niente?
Non possiamo evitare di immaginare un sistema di richiesta di asilo o di protezione umanitaria in Europa. Però il negoziato non è ancora iniziato, quindi non diamo la cosa già per morta. E’ un lavoro complicato, sappiamo che molti Paesi non vorrebbero toccare il testo, ma già affermare il principio che invece si può toccare è un primo passo. Il rischio di cui lei parla purtroppo c’è, ma noi dobbiamo negoziare bene.

E’ possibile che le modifiche alla fine riguardino solo la possibilità di esaminare le richieste di asilo in Africa invece che in Europa?
Anche, ma non solo, perché tanta gente continuerà ad arrivare in Europa, ad esempio via terra. Non dobbiamo credere che dalla parte Est dell’Europa e dallo stesso corridoio balcanico in questo momento non arrivi nessuno. Arrivano molte meno persone di quante ne approdano nel Mediterraneo centrale, ma adesso con la diminuzione degli arrivi vedrete che i numeri equivarranno. C’è sempre un flusso.

L’Europa però continua a dimostrare non non volere i migranti La prova è che a settembre finisce i programma di ricollocamenti dalla Grecia e dall’Italia e il risultato è un fallimento a causa dell’ostruzionismo di molti Paesi.
Il programma di ricollocamento è stato un fallimento ed è il motivo per cui bisogna rivedere Dublino. Per il resto l’Europa sta uscendo dalla crisi e presto avrà bisogno di nuove forze. Servono canali legali, quote, decreto flussi.