Paolo Beria, professore del Politecnico di Milano, è uno dei membri della Struttura Tecnica di Missione del Ministero delle Infrastrutture. Fa parte del gruppo di lavoro incaricato dell’analisi costi-benefici delle grandi opere, tra cui il Terzo Valico e la la Tav Torino-Lione, che – spiega – non può essere oggetto di quest’intervista, dato il vincolo di riservatezza prima della presentazione del dossier. Con l’ExtraTerrestre, Beria parla di alta velocità e rete ferroviaria.

L’alta velocità è sufficiente a se stessa, o ha bisogno di integrare la sua rete con il trasporto regionale?

Il punto di forza della ferrovie è che sono un sistema a rete. Attualmente però il grosso della domanda sull’Av italiana è fatta da persone che si muovono tra le città principali, mentre è molto meno efficace per chi si deve spostare, poniamo, tra Como e Latina. Sarebbe utile, perciò, rendere la linea Av più permeabile al resto del Paese: è un intervento che si può fare estendendo i servizi AV alla rete tradizionale o integrando i regionali con la lunga percorrenza. Le due imprese ferroviarie – Trenitalia e Italo – si muovono soprattutto nella prima direzione, per esempio con i recenti collegamenti diretti Bergamo-Roma o Roma-Taranto. Questo perché il sistema regionale appare non integrabile efficacemente. È una questione di «affidabilità percepita dall’utenza». Anche se i tempi di percorrenza sono gli stessi, ha più appeal un collegamento diretto al giorno Bergamo-Roma con un orario ben fatto, che un collegamento all’ora con cambio a Milano. Nel DEF 2018 questo veniva definito AVR, cioè Alta velocità di rete: è il tentativo di impostare la pianificazione infrastrutturale coerentemente con ciò che sta già avvenendo nel mercato. L’idea è di intervenire anche sulla rete convenzionale, velocizzandola o aumentandone la capacità, per renderla appetibile ai servizi AV e raggiungere così un numero maggiore di utenti senza costruire linee dedicate AV che avrebbero troppo poca domanda.

Il vostro lavoro di ricerca al Politecnico si è concentrato sui costi della rete alta velocità già realizzata. Dieci anni dopo l’inaugurazione, ne è valsa la pena?

Da noi per vent’anni la pianificazione ha riguardato solo grandi opere e la nostra conclusione è che non solo queste infrastrutture sono costate troppo, ma anche che la loro idea progettuale era slegata dalla domanda (si pensi ad esempio alle molte interconnessioni AV mai usate). Il messaggio, perciò, è che se l’Av fosse costata quel che doveva costare, cioè almeno un 30 per cento in meno, avremmo avuto un progetto tale da generare benefici diretti maggiori dei suoi costi. Ma essendo costato moltissimo, ci siamo mangiati parte dei possibili benefici, nonostante il successo della concorrenza.

Le relazioni di lunga percorrenza non sono coperte solo dall’Av, e assistiamo alla crescita dei bus. Pensa sia una questione di efficienza?

In uno studio fatto prima della liberalizzazione, avevamo ipotizzato la possibile sostituzione degli Intercity con autobus. In alcuni casi lo ha già fatto il mercato, ma ci sono anche collegamenti per cui questo non è fattibile: su un Ic tra Milano e Taranto, in realtà, sono pochi i passeggeri che vanno da Milano a Taranto, mentre quel servizio sarà usato da chi si sposta da Lodi a Rimini o da Pescara a Termoli. Sono cioè servizi che di fatto non servono la «domanda di estremità», una relazione che sarebbe servibile meglio con un bus, che è anche molto meno costoso. In mezzo, però, ci sono un’infinità di relazioni che salterebbero. Dal punto di vista ambientale, credo che la crescita dei bus non rappresenti un problema, anzi. In primo luogo perché fuori dai centri urbani i danni dell’inquinamento sono inferiori. Poi perché i bus sono sempre molto recenti e quindi a basse emissioni. Infine perché un bus, per essere sostenibile economicamente, deve avere almeno 30 persone a bordo, e l’inquinamento unitario è dunque molto contenuto.