Quando il 14 marzo il progetto di legge «Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento» ha iniziato il suo iter legislativo alla Camera, sono riaffiorati alla mente gli anni di scontri per lo più politici in merito a singole vicende, quindi Dj Fabo, ma prima di lui Walter Piludu, Pier Giorgio Welby, Eluana Englaro.
Il punto è però che ciò che è arrivato alla Camera non è una legge sull’eutanasia, nè sul suicidio assistito, nè sul testamento biologico singolarmente inteso: si tratta, in realtà, dello sforzo di mettere ordine su alcune questioni che la Costituzione, insieme a numerose convenzioni internazionali, difende già di principio ma che, clamorosamente, nessuna legge in Italia regola ancora in modo chiaro.
Le questioni in ballo sono molte: il diritto alla salute e la libertà di scelta nei trattamenti sanitari, il diritto di non soffrire e di gestire le informazioni sul proprio stato di salute, la centralità della volontà della persona malata e il dovere del medico di rispettare tale volontà, il principio di autodeterminazione della persona, a cui dar valore anche in caso di sopraggiunta incapacità. Ma non solo. Questa legge riguarda soprattutto l’etica e i principi, la deontologia professionale e le norme, le responsabilità e i doveri, le nostre scelte più intime e le garanzie pubbliche. Il testo unico presentato il 14 Marzo è perfettibile, ma presenta alcuni passaggi di apertura: viene indubbiamente «promossa e valorizzata la relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico, il cui atto fondante è il consenso informato nel quale si incontrano l’autonomia decisionale del paziente e la competenza, l’autonomia professionale e la responsabilità del medico» (Art.1, comma 2).
Il tempo della comunicazione tra medico e paziente è definito «tempo di cura», nel rispetto della deontologia e, soprattutto, di un’idea di medicina personalizzata e individualizzata, nella quale le scelte del paziente sono prima di tutto messe al centro del processo decisionale e poi condivise e co-costruite con il personale di cura. La legge garantisce, inoltre, il diritto già sancito dalla Costituzione all’Art. 32 di rifiutare trattamenti, incluse la nutrizione e l’idratazione e, aspetto non di poco conto, stabilisce che il medico sia esente da responsabilità civile o penale. Sono finalmente regolate le «Disposizioni anticipate di trattamento» alle quali si applicano le stesse possibilità decsionali attirbuite al consenso informato; è, inoltre, espressamente individuata la figura del fiduciario. E’ trattata la questione dei minori e degli «incapaci» e viene dedicato il quarto articolo alla pianificazione condivisa delle cure, riferimento di respiro internazionale, in linea con le normative e le buone pratiche degli altri paesi Europei.
Non mancano certo punti critici e formulazioni ambigue che lasciano spazio a domande ancora aperte: «Il paziente non può esigere trattamenti sanitari contrari a norma di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali» (Art. 1, comma 7); le Disposizioni anticipate di trattamento «possono essere disattese, in tutto o in parte, dal medico in accordo con il fiduciario, qualora sussistano terapie non prevedibili all’atto della sottoscrizione, capaci di assicurare possibilità di miglioramento delle condizioni di vita» (Art.3, comma 5).
La deontologia professionale rischia di divenire il modo per tutelare la coscienza del medico rispetto a quella del paziente? Chi decide cosa sia il miglioramento delle condizioni di vita? Esso è inteso nel senso di quantità o qualità della vita?
Visto l’alto numero di emendamenti presentati – sono circa 750 – e lo scontro ideologico più che scientifico sul quale il dibattito politico tenderà a ploarizzarsi, la strada della discussione del testo sembra essere in salita, ma la buona qualità del progetto è un punto di partenza da non sottovalutare. La speranza è che la discussione vada avanti affinché anche l’Italia possa dotarsi di uno strumento legislativo a tutela del diritto inviolabile della persona di poter decidere sul proprio corpo e sulla propria vita, della quale il processo del morire è parte significativa.