«La scrittura pone domande sul senso. I temi sono quelli fondamentali, che da sempre hanno incuriosito l’umanità. Un testo dovrebbe essere aperto». Anna Mitgutsch – la cui opera è considerata tra le più significative della letteratura austriaca del secondo dopoguerra – decide di collocarsi in una posizione di sospensione tra la violenza del passato e l’aggressività del presente, perché sa che dalla soglia si guadagna uno sguardo obliquo, che attraversa le cose e le tragedie che le solcano. Anche il suo ultimo romanzo, Die Annäherung (L’avvicinamento, Luchterhand, 2016), risente di queste atmosfere in cui spaesamento e ricordo sono centrali. È la storia di un difficile rapporto padre-figlia, tra ricerca del passato e bilanci di una vita intera.

La questione dell’identità, nei suoi romanzi, si snoda spesso nelle domande «chi sono io»? «chi è che racconta?». In che relazione si trova questo aspetto con il tema dell’essere stranieri?
A partire dall’età moderna non esistono quasi più delle identità univoche, che restano costanti in un ampio arco temporale. Se, per un qualsiasi motivo – anche meramente biografico – si osservano le cose da una posizione piuttosto marginale, dall’esterno, ci si ritrova nella posizione dell’«Altro», che non «appartiene» e che, proprio per questo, è in grado di mettere in dubbio tutto. Il vantaggio sta nel fatto che proprio da questa ottica si riconoscono cose che coloro che sono assimilati non possono vedere. Lo svantaggio è che così si diventa un emarginato, e non si vive mai la piacevole sensazione del «Noi», della possibile appartenenza.

Nella sua opera ci sono molti confini – spaziali, temporali… Quale ruolo ha questo fluttuare tra memoria ed esilio?
Sono sempre consapevole della ristrettezza d’orizzonte della nostra capacità conoscitiva. Chi non è disposto ad avvicinarsi coraggiosamente ai limiti della lingua e del pensiero, scrive «letteratura funzionale» o persino «letteratura di consumo». D’altronde, il superamento dei limiti è anche collegato alla ricerca dell’identità. È nel «ricordare» che si trova il vero ambito d’azione della letteratura.

Un ulteriore punto del suo romanzo «Die Annäherung» (L’avvicinamento) è il viaggio, compreso quello all’interno del proprio sé…
Viaggiare significa sempre un approccio a quel che è estraneo. Anche il domandare, se lo leggiamo nei termini di un movimento verso qualcosa, è assimilabile a un viaggio. Del resto, la stessa letteratura è dialogica, ha bisogno di lettori per diventare viva e richiede loro di addentrarsi in uno scambio con il testo scritto. Il consumo non è un dialogo; in questo, si misura la differenza rispetto una lettura che si concentra sul plot, sull’azione.
In un certo senso, è un viaggio anche l’avvicinamento alle persone, il tentativo di comprenderle, di rappresentarle nella loro contraddittorietà e nella loro specificità. Talvolta, nella mia opera di scrittura mi accade forse di attingere dal mondo della mia esperienza; spero però di non essere così egocentrica da affannarmi continuamente per raggiungere me stessa. Di fatto, sono affascinata dalle persone, dalle culture, dalle lingue così come amo la dimensione della natura, la varietà dei paesaggi. A questo tengo anche quando scrivo.

Il confronto intergenerazionale tra madre/figlia, o tra padre/figlia è un altro motivo ricorrente nella sua opera…
La famiglia è il nucleo della società e per questo motivo si presta particolarmente a essere oggetto di studio dei rapporti interpersonali. È sulla base di successioni, nonché di conflitti generazionali, che si rende evidente lo sviluppo storico e politico di una società. Un romanzo è pur sempre anche la raffigurazione di un momento concretamente vissuto nella storia, in cui i grandi avvenimenti incrociano e possono determinare una vita umana.
Anche le cose sembrano essere dotate della capacità di ricordare. È davvero così ?
Naturalmente, le cose non hanno la facoltà di ricordare, sopravvivono però alla fugacità della vita e del momento contingente. Grazie alla loro presenza si possono rappresentare i cambiamenti, i mutamenti e le trasformazioni sia in un’esistenza singola sia in quelle di intere società. Così spesso le cose diventano cifra di metamorfosi, o, al contrario, anche di stagnazione.

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Oggi a Napoli
al Suor Orsola

La scrittrice austriaca Anna Mitgutsch torna in Italia, in un tour che la vede protagonista dopo Roma e Cassino, oggi a Napoli (ore 12, facoltà di Lettere), nella sede dell’università Suor Orsola Benincasa. Anglista e germanista di formazione, originaria di Linz ma attiva da anni anche negli Stati Uniti, Mitgutsch ha ottenuto per la sua intesa attività narrativa prestigiosi premi (e anche il dottorato honoris causa all’Università di Salisburgo). È autrice di saggi e romanzi, molti dei quali tradotti in italiano: «Tua madre era come te?» (Feltrinelli, 1994); «Straniera ovunque» (Feltrinelli, 1996); e poi per Giuntina «La voce del deserto» (2008) e «La casa della nostalgia» (2009) e «Die Annäherung» (2016).