Quando un film cambia titolo dopo l’uscita in sala non c’è Rotten Tomatoes che tenga: è veramente nei pasticci. Con un 80% di approvazione critica e 81% di quella del pubblico (secondo il sito RT), Birds of Prey (and the Fantabulous Emancipation of One Harley Quinn) – in Italia Birds of Prey e la fantasmagorica rinascita di Harley Quinn – veleggiava apparentemente tranquillo verso il giorno d’apertura nei cinema Usa (il 7 febbraio). Entro lunedì mattina, il primo kolossal hollywoodiano interamente dedicato alla sadica psicologa fidanzata di Joker (interpretata con giocoso abbandono e make up color candito da Margot Robbie, qui e già in Suicide Squad) veniva dichiarato inequivocabilmente un disastro. Il peggiore negli ultimi dieci anni di adattamenti cinematografici da DC Comics, e frettolosamente riproposto con un titolo semplificato per il pubblico delle grosse catene di multiplex AMC e Regal (nel caso non avessero capito di cosa si trattava… Salviamo il salvabile) Harley Quinn: Birds of Prey.

DIRETTO dalla cinoamericana Cathy Yan (al suo attivo niente cinema di genere o d’azione, ma una commedia prodotta da Jia Zhangke e presentata a Sundance, Dead Pigs) e scritto dalla sceneggiatrice inglese Christina Hodson – fra gli inventori di una app, Highland 2, che filtra le sceneggiature attraverso una gender analysis – il film è la storia dell’emancipazione di Quinn, dall’abbraccio mortale della mente malata di Joker (se ne è innamorata mentre lo curava al manicomio criminale) a una vita di caos e malefatte tutte sue.

La premessa di una furia distruttiva innescata dalla rottura del fidanzamento tra due dei peggiori psycho di Gotham City è abbastanza divertente -all’inizio della storia, per proclamare pubblicamente la sua neonata indipendenza, Quinn (Robbie ha la fisionomia esagerata e la comicità fisica ideali per il fumetto) fa saltare una fabbrica di prodotti chimici che era stata teatro dei loro incontri romantici. Scomparsa l’ala protettiva del temutissimo boyfriend, i peggio pendagli da forca della città si apprestano a ripagare l’odiata ex degli abusi che aveva inflitto in coppia.

A FIANCO di Quinn, per caso e in ordine sparso, si schierano, un’arciera in nero (Mary Elizabeth Winstead, nei panni di Hunter), una cantante dal timbro supersonico (Jurnee Smollett-Bell è Black Canary), una piccola ladra (Ella Jay Basco è Cassandra Cain) e una poliziotta alcolica (Rosie Perez, che sembra sempre in un film di Spike Lee, è Renee Montoya). Insieme, per due ore interminabili di battute piatte e azione mal diretta, che nemmeno un genio della fotografia e della luce come Matthew Libatique (quasi tutti i film di Aronofsky, e A Star Is Born) può redimere, la posse di vendicatrici si dedica al tormento del genere maschile, incarnato da una galleria di personaggi poco interessanti come i loro.

Parecchi critici Usa (e alcuni degli stessi che avevano duramente attaccato la prospettiva nichilista di Joker e il suo essere un film incentrato sulla sofferenza di un maschio bianco) hanno entusiasticamente celebrato la formazione all girls, di Birds of Prey, davanti e dietro alla cinepresa. Tra le numerose recensioni positive, particolarmente deprimenti sono apprezzamenti tipo «una prospettiva fresca, unicamente femminista» o «la demolizione della cultura dello stupro». Il sadismo e la mancanza di idee, evidentemente, qui sono scusati dal gender.

ED È AUTOMATICAMENTE scusata anche Cathy Yan – che si è messa in un pasticcio di cui non era all’altezza. Alla WB, in cambio del flop, rimane la medaglia al valore per affidato a una donna un grosso blockbuster d’azione. Avevano avuto molto più fiuto con Patty Jenkins e Wonder Woman. A Chloe Zhao (autrice di provata originalità e grande, poetica eleganza visiva) il dovere di dimostrare che alcune donne amano questi film e sono anche capaci a farli. Il suo The Eternals uscirà in novembre.