«Un aspetto centrale della medicina moderna è la centralità del paziente nei processi di cura e il testo di legge fornisce una risposta giuridicamente adeguata». Massimo Costantini, medico palliativista e attuale direttore scientifico dell’Irccs-Arcispedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia, ha una posizione interlocutoria con la mediazione arrivata in Parlamento due giorni fa, riguardante le «Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento», nonostante alcuni punti che andrebbero chiariti al più presto.

Ci spiega meglio il suo parere?
Intanto il testo di legge ribadisce l’importanza di una appropriata e completa comunicazione e la centralità del paziente in tutto il percorso di cura, dal momento della diagnosi fino alla fine della vita. Non è scontato che una legge lo sancisca esplicitamente, poiché la prassi medica rimane contraddittoria.

La sospensione dei trattamenti, inclusi nutrizione e idratazione artificiali, è un punto critico, oggetto di dibattito sin dai tempi della vicenda di Eluana Englaro. Può chiarire perché è giusto dire che si possono sospendere?
La risposta è nell’espressione stessa: «artificiali». Esistono una serie di atti di cura quotidiana che vengono sempre mantenuti nei confronti della persona malata e che riguardano la sua dignità e qualità di vita, ma iniziare una nutrizione o idratazione artificiale attraverso strumenti specifici è un atto squisitamente medico: un infermiere, infatti, non ha l’autorità per avviare questa procedura senza indicazione medica. Per questo motivo esse rientrano nella casistica dei trattamenti che possono venire interrotti.

Qual è il ruolo del medico nelle scelte di fine vita del paziente?
Il modello di cura largamente prevalente fino a qualche decennio fa – in alcuni Paesi tra cui l’Italia in parte ancora oggi – era quello paternalistico, in cui il medico decide per il bene del paziente. In realtà ci sono situazioni in cui il paziente è l’unico che può giudicare cosa sia bene per lui, soprattutto nel contesto di una malattia inguaribile. Chi è malato deve essere centrale nel processo decisionale: il medico mette a disposizione le sue competenze tecnico-scientifiche per il paziente che, adeguatamente informato, può decidere sulla sua vita. Il ruolo del medico quindi cambia radicalmente rispetto al passato. Il cambiamento è più che notevole e non possiamo aspettarci che sia risolto solo per via legislativa.

È necessario inserire il riferimento alla sedazione continua profonda?
La sedazione continua profonda è un pratica che ha l’obiettivo di evitare al paziente una morte dolorosa di fronte a una sofferenza incontrollabile dalle terapie e intollerabile per il paziente. Si tratta di buona pratica clinica, giuridicamente ed eticamente accettata, per fortuna largamente diffusa non solo nei setting di cure palliative. Francamente non vedo la necessità di specificarla all’interno del processo di legge.

I punti critici del testo che andrebbero dipanati?
Nel comma 7 dell’Art.1 si dice che «Il paziente non può esigere trattamenti sanitari contrari a norma di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali». Questa frase può prestarsi a interpretazioni soggettive. Cosa succede se un medico ritiene che l’interruzione della respirazione meccanica invasiva non sia una buona pratica clinica? Si rifiuta di attuarla anche se richiesta dal paziente? Qui la legge deve essere chiara e non lasciare spazio ad ambiguità. Un’altra criticità riguarda il rispetto delle volontà precedentemente espresse da un paziente al momento non cosciente. Se le condizioni mediche e scientifiche sono mutate non è possibile lasciare ad un accordo tra medico e fiduciario la scelta sul che fare. Deve essere il fiduciario, che interpreta la volontà del paziente, a decidere. E’ lui la voce del paziente quando il paziente non ha più voce.

Nello scenario complesso del «fine vita» e nella conseguente discussione pubblica, che posto ha tutto questo?
È importante ricordare che questa legge arriva – in ritardo – all’interno di un dibattito che ha attraversato l’opinione pubblica da alcuni decenni, non solo in Italia. Lo scenario dei processi di cura è radicalmente cambiato e il medico deve cedere potere al paziente all’interno della relazione terapeutica. È un cambiamento di paradigma che richiede tempo per affermarsi. Questa legge è uno strumento utile e può contribuire a cambiare in meglio la prassi medica quotidiana.