Sull’intera opera di Bernhard Schlink grava il peso del passato tedesco, indagato, smontato pezzo per pezzo, esaminato alla luce della Storia, senza che si possa però giungere necessariamente per questa via ad una qualche forma di redenzione. Come racconta Michael, il giovane protagonista de Il lettore, il romanzo del 1995 che ha fatto conoscere lo scrittore oggi settantaquattrenne al pubblico internazionale, facendone al contempo uno dei protagonisti della narrativa tedesca degli ultimi decenni, dopo aver scoperto che la donna di cui è innamorato è stata tra le ausiliarie delle SS ad Auschwitz: «Il dolore che ho attraversato a causa del mio amore per Hanna era, in un certo senso, il destino della mia generazione, un destino tedesco».

Già docente di Filosofia del diritto a Berlino e giudice della Corte Costituzionale della Renania Settentrionale-Vestfalia, Schlink è approdato tardi alla letteratura, dapprima con le inchieste del detective privato Gerhard Selb, anch’egli costantemente impegnato a fare fronte ai fantasmi del passato nazista del paese, compreso il proprio, per proseguire poi con una serie di racconti e romanzi che si misurano con la guerra, l’invasione dell’Urss, il regime hitleriano, ma anche gli «anni di piombo» tedeschi: tra cui, oltre al già citato Il lettore (rilanciato da Neri Pozza), si possono ricordare La nostalgia del ritorno e Il fine settimana, entrambi per Garzanti.

In Olga, appena pubblicato da Neri Pozza (pp. 222, euro 17,00) e che Schlink presenterà questa sera a Milano insieme a Antonio Scurati e Pierluigi Vercesi – alle 19 al Teatro Franco Parenti -, attraverso una disperata storia d’amore tra la protagonista, rimasta orfana da bambina e cresciuta in un villaggio della Pomerania con i libri come soli amici e Herbert, rampollo di una famiglia di proprietari terrieri allevato nel mito della gloria imperiale e dell’espansionismo germanico, prende forma un ritratto della società tedesca, e dei suoi umori, a cavallo tra XIX e XX secolo che anticipa per molti versi alcuni dei temi che saranno poi alla base del Terzo Reich, ma anche della Germania del secondo dopoguerra.

 

Lo scrittore Bernhard Schlink

 

Olga, la protagonista del romanzo, individua in Bismarck e nell’avventura imperiale tedesca di fine Ottocento i prodromi del Terzo Reich. Alla riflessione sulla Germania nazista che accompagna molte delle sue opere si aggiunge un nuovo elemento?
Il nazismo e il modo in cui ha preso forma il Terzo Reich rappresentano qualcosa di così terribile, non solo per la memoria tedesca ma per quella del’intera umanità, che per lungo tempo non abbiamo avuto il coraggio di spingere lo sguardo più indietro, perlomeno oltre il periodo della Repubblica di Weimar. Ora però, pian piano, ci si sta rendendo conto che per capire davvero quanto accaduto nel paese si deve osservare il modo nel quale si è andata definendo l’identità nazionale tedesca lungo un arco temporale più ampio.

Nella vicenda personale di Olga, la ricerca del «Lebensraum» (lo spazio vitale) ad Est, che accompagnerà l’Olocausto, e in cui crede fermamente Eik, il figlio che ha avuto da Herbert che entrerà nelle SS, sembra affondare le proprie radici nello sterminio degli Herero compiuto dai tedeschi in Namibia e nel mito della conquista del Polo Nord, cui aveva partecipato il padre…
Ad un certo punto, Olga si rende conto che la sua lucidità è stata offuscata dall’amore. Ha descritto Herbert come una sorta di eroe, di avventuriero romantico, senza descriverne gli errori e le colpe, tanto da trasformarlo agli occhi del ragazzo in un simbolo. Le fantasie di Eik su di un «regno tedesco» che si spinge fino agli Urali, come sosterrà poi la propaganda nazista, fanno così eco ai «sogni» di Herbert – raccontati dalla madre dopo la scomparsa dell’uomo nel corso di una spedizione artica – su una Germania che estende il proprio dominio dalle sabbie del deserto africano fino all’Oceano Pacifico. Attraverso questa memoria familiare, le idee dell’uno alimentano quelle dell’altro, come è del resto avvenuto anche sul piano storico più in generale.

Il modo nel quale i suoi personaggi riflettono sulle tragedie del Novecento, ed in modo particolare sull’Olocausto, i crimini del nazismo e la Seconda guerra mondiale, sembra avere più a che fare con le conseguenze dirette che le loro vite e i loro affetti hanno subito in conseguenza di tutto ciò che con un’aperto giudizio morale su questo terribile passato. E ciò, al di là di quale sia stato il loro ruolo in tali vicende. Perché questo approccio?
Credo che l’espressione della condanna morale sia sottintesa, faccia parte di ciò che pongo alla base della mia scrittura quando affronto il passato e sia parte dell’orizzonte entro il quale la stragrande maggioranza di noi si muove oggi. Il problema, da questo punto di vista, è però un altro. Possiamo davvero pensare di comprendere il percorso che ha condotto gli individui a fare scelte terribili e dalle conseguenze nefaste, capire le circostanze in cui tutto ciò ha avuto luogo, il perché le cose sono andate in un determinato modo se ci limitiamo ad esprimere la nostra, per altro legittima e sacrosanta condanna morale? Temo che quando si ha a che fare con il passato, direi in generale ma in modo particolare con quanto accaduto in Germania, sia più utile cercare di capire, interrogarsi in profondità, piuttosto che rifugiarsi dietro le tentazioni moralistiche che ci possono aiutare con la coscienza ma non ci aiutano necessariamente a comprendere quanto è accaduto. E, per questa via, ad impedire che possa ripetersi. Perché, solo se saremo in grado di individuare le ragioni che hanno spinto tanta gente a farsi tentare allora dall’ideologia nazionalsocialista, potremo davvero dire di voler affrontare oggi ogni sorta di rigurgito razzista e antisemita, ogni forma di minaccia che attenta alla nostra libertà e alla democrazia.

Sta pensando in particolare all’ondata di razzismo che la Germania subisce da alcuni anni e all’affermazione crescente dell’estrema destra dell’Alternative für Deutschland, un cui esponente ha tra l’altro definito «una vergogna» il Memoriale per le vittime di Berlino?
Certamente. Il pericoloso ritorno del nazionalismo, come l’aumento dei sentimenti di ostilità nei confronti degli stranieri e di tendenze apertamente antisemite, sono tutti fenomeni che evidenziano proprio quanto pericoloso sia il non conoscere e non fare i conti fino in fondo con il proprio passato. Viceversa, interrogarsi sulla storia tedesca credo possa rappresentare una valido antidoto a tutto ciò. Ritengo infatti che il passato sia in realtà parte integrante del presente: in qualche modo noi viviamo il presente alla luce di quanto è accaduto nel passato. Che cosa potremmo fare senza la letteratura del passato, senza le mille tracce giunte fino a noi che testimoniano di quanto è accaduto un tempo? La storia passata esercita un’influenza importante sul presente sia dal punto di vista politico che sociale, ma anche culturale. Io non posso nemmeno immaginare di cercare di gettare uno sguardo razionale su ciò che accade oggi intorno a me senza prendere in considerazione anche ciò che già si è compiuto: si tratta di elementi che mi appaiono legati in modo inestricabile.

Dal poliziesco a romanzi che attraversano la Storia fendendo la nebbia delle vicende più intime e segrete, spesso ricorrendo a diari o lettere ritrovate accidentalmente molti anni dopo che sono state scritte, come accade anche in «Olga». Si ha l’impressione che «l’indagine» sia diventata per lei una sorta di codice narrativo: il solo in grado di fare i conti con un passato che altrimenti si fatica a mettere a fuoco fino in fondo.
Fin dall’inizio della mia attività di scrittore ho scelto senza dubbio un approccio che predilige una sorta di verifica del passato e di quanto conosciamo effettivamente di ciò che è avvenuto in una determinata epoca o situazione. Lo strumento che utilizzo per compiere questa ricerca è da sempre quello dell’indagine, del cercare le tracce, all’esterno come nella memoria degli individui, del passato. È stato naturalmente così per le inchieste condotte da Selb, ma si tratta di qualcosa che ritorna anche in quanto ho scritto in seguito: in un modo o nell’altro in gran parte dei miei romanzi o racconti. Quello è il punto di partenza per capire come si situano i diversi personaggi rispetto alle vicende che accadono o sono accadute intorno ad essi. Ma è anche lo strumento per capire su quale terreno si muovano ora. Loro, come me.