Mai come in questo momento ci viene voglia di parlare di cibo. Serve, parlarne. In piena emergenza sanitaria si riafferma prepotente la sua centralità. Il cibo è vita: è salute, economia, scienza, agricoltura, industria, divertimento, tendenza, passione. E sempre di più: politica. Fare scelte consapevoli è fare politica, è incidere sul cambiamento, indirizzarlo, reinventarlo. Proprio quanto stanno facendo alcune aziende italiane, decise a centrare la propria filosofia produttiva su cardini ormai evidentemente non più derogabili, ma ancora lontanissimi dal fissare il sistema economico globale. Bonduelle, ad esempio, leader mondiale delle verdure con oltre 128 mila ettari di coltivazioni. In occasione del Festival del giornalismo alimentare di Torino, chel’ExtraTerrestre ha seguito, l’azienda ha lanciato «Bonduelle s’impegna», un ambizioso programma di responsabilità sociale. «Siamo un’azienda familiare, da sempre attenta a produrre nel rispetto della natura. Fin dalla nostra nascita abbiamo portato avanti tante iniziative che oggi verrebbero definite green», spiega l’ad Andrea Montagna. Già all’avanguardia nell’adozione di tecnologie ad alta efficienza energetica e di soluzioni che limitano l’impatto ambientale, nonché in progetti di educazione sulla corretta alimentazione e sulla lotta allo spreco alimentare, oggi Bonduelle compie un passo deciso in avanti. «È arrivato il momento di prenderci degli impegni ancora più concreti e di comunicarli, nella speranza che altri possano seguirci nelle buone pratiche dal campo allo stabilimento». Il nuovo progetto punta davvero in alto.

Favorire le produzioni locali e stagionali, per cominciare, coltivando l’80% delle verdure fresche in Italia. La gamma delle insalate degli Agricoltori Bonduelle (songino, rucola, spinacino e lattughino) già oggi è confezionata entro 24 ore dalla raccolta, per garantire al consumatore un prodotto sempre fresco. L’azienda ha deciso anche di limitare l’utilizzo di pesticidi per proteggere il terreno e l’ambiente, collaborando a stretto contatto con gli agricoltori. Bonduelle è stata la prima in Italia a produrre il mais senza residuo di pesticidi e adesso è pronta a lanciare l’iceberg senza residui di pesticidi per le insalate già pronte al consumo. Inoltre, già da diversi anni si sta impegnando affinché tutti i suoi produttori di ortaggi freschi abbandonino, entro il 2025, l’impiego di quei pesticidi potenzialmente dannosi per la salute degli insetti impollinatori.

Terzo obiettivo: preservare la biodiversità e le risorse naturali, come l’acqua e l’energia. Nei due stabilimenti italiani di San Paolo d’Argon (Bergamo), e Battipaglia (Salerno), dove impiega circa 400 lavoratori, in quattro anni i consumi idrici sono stati ridotti del 15% e quelli energetici del 10%. Inoltre, entrambi gli stabilimenti possono vantare la certificazione ISO 50001, decisamente all’avanguardia rispetto agli standard medi. Entro il 2021 verrà poi realizzato un progetto di autoproduzione dell’energia da cellule fotovoltaiche. Anche per quanto riguarda gli scarti di cibo, nessuno scarto vegetale qui viene buttato: diventa infatti cibo di qualità per i bovini delle aziende zootecniche vicine agli stabilimenti. L’ad Montagna insiste anche sulla necessità di ridurre al minimo l’utilizzo di additivi e conservanti: «Non utilizziamo mai Ogm e aromi artificiali per i nostri prodotti. La nostra politica per il fresco è molto chiara: nessuna delle insalate in busta Bonduelle contiene conservanti». Altro punto del progetto è garantire un’ampia offerta di prodotti biologici, almeno una per ogni categoria: dal mais in lattina ai piselli surgelati, fino alle insalate e verdure fresche. Infine, l’impegno a promuovere l’utilizzo di confezioni sempre più sostenibili. Tutte le confezioni di prodotti freschi e in lattina sono 100% riciclabili e l’azienda sta cercando di utilizzare la plastica riciclata per tutte le proprie confezioni: ad esempio, le insalate in ciotola Le Regionali sono fatte di plastica riciclata all’80%, il massimo consentito dalla legge fino ad ora. Massima attenzione all’impatto ambientale anche da parte di As Do Mar, regina del pesce in scatola. «I consumatori sono sempre più sensibili all’ambiente e Greta non è che l’ultimo esempio». L’ad Adolfo Valsecchi spiega che As Do Mar cerca sempre di avere un approccio globale a ogni problema.

Nata sul finire degli anni ‘80 come società di distribuzione, nell’arco di poco più di dieci anni Generale Conserve, proprietaria di As Do Mar, è passata dall’essere una piccola realtà che nel 2001 fatturava 20 milioni di euro a diventare produttore, con un fatturato che nel 2017 si è chiuso con oltre 156 milioni di euro, generati per la quasi totalità dalle vendite sul mercato italiano. Tra il 2008 e il 2011 l’azienda ha rinnovato un patrimonio storico che rischiava di andare perduto, dando continuità alla lavorazione artigiana dello sgombro nello stabilimento di Vila do Conde in Portogallo e inaugurando un nuovo stabilimento ad Olbia, che ha ridato un futuro alla tradizione della lavorazione del tonno in Sardegna. As Do Mar oggi è la seconda azienda nel mercato italiano tra i produttori di conserve ittiche, con una quota di circa il 15,7%. Prima per produzione di tonno da intero, rappresenta un modello di riferimento in termini di qualità e innovazione.
Per ridurre l’impatto ambientale della sua produzione fa di tutto per non produrre emissioni inquinanti: «Quelle che produciamo le filtriamo con impianti adeguati, per tutte le acque reflue abbiamo un depuratore che le tratta, e per le acque industriali di reflusso abbiamo il target drink water, in modo che l’acqua che esce dai nostri depuratori sia potabile». E ha anche caldaie che producono vapore in modo da risparmiare energia. I suoi tre pilasti di sostenibilità sono salvaguardia dell’ambiente, pesca sostenibile e rispetto del lavoro. Il tonno è a spreco zero, perché vengono riutilizzati gli scarti al 100% per la produzione di pet food e per le farine proteiche utilizzate per la zootecnia. Lavora solo tonni a pinne gialle adulti, di almeno 20 kg di peso o 1 metro di lunghezza e tonnetti striati certificati pescati a canna, utilizzando solo materia prima ittica certificata Friend of The Sea. «Lavoriamo a Olbia il tonno da intero, non mettiamo in scatola semilavorati, perché solo così si produce la vera Qualità Italiana», sottolinea Valsecchi. As Do Mar concentra tutto il ciclo produttivo del tonno in Italia e dello sgombro in Portogallo, senza delocalizzare le fasi più artigianali, perché consapevole che questo innesca un circolo virtuoso a sostegno dell’economia locale.

Al Festival del giornalismo alimentare c’è anche la buona pratica di Pasta Armando. La De Matteis Agroalimentare nasce nel 1993 a Flumeri (Avellino), a due passi dalle principali aree di coltivazione del grano duro di Campania, Puglia e Basilicata. Grazie all’impegno e alla passione delle due famiglie fondatrici, De Matteis e Grillo, oggi ha un insediamento industriale all’avanguardia con una capacità produttiva annua di 150mila tonnellate. L’azienda è arrivata ad essere uno dei più importanti player nel mercato mondiale della pasta secca di alta qualità: conta 200 dipendenti ed esporta in 43 Paesi del mondo, con un fatturato di oltre 150 milioni di euro, realizzato al 70% all’estero. Ha progressivamente impostato la sua filosofia aziendale sul miglioramento qualitativo della filiera del grano duro nazionale. Tutt’oggi è fra le poche aziende ad avere un molino di proprietà, collegato direttamente al pastificio. Nel 2011 ha introdotto il Patto Armando: un vero e proprio contratto che stringe direttamente con gli agricoltori che si impegnano a seminare le varietà di grano duro concordate con il pastificio, e a coltivarle nel rispetto di un rigoroso disciplinare, finalizzato alla massima qualità e all’implementazione delle pratiche agronomiche più rispettose per l’ambiente.
La Pasta Armando è ottenuta da una trafilatura in bronzo ed è prodotta solo con grano 100% italiano di filiera, e contenuto minimo proteico del grano del 14,5%, coltivato nelle aziende agricole aderenti al Patto. Per darvi qualche numero, nel contratto 2018-2019 gli agricoltori aderenti sono stati 1.507, pari a 16mila ettari coltivati secondo il disciplinare. Nove anni fa, all’inizio del progetto, erano 100.

Grazie alla compresenza nello stabilimento di mulino e pastificio, la lavorazione è seguita in ogni fase. La semola viene trasferita direttamente dal molino al pastificio, dove viene impastata con l’acqua pura delle sorgenti irpine. La pasta che ne esce è a zero tecnico di residui di prodotti fitosanitari. Zero pesticidi e zero glifosato. Grazie all’impianto di cogenerazione che alimenta lo stabilimento, riesce anche a produrre in maniera sostenibile, evitando ogni anno 1.865 tonnellate di Co2, risparmiamo 1.941 tonnellate equivalenti di petrolio e ottenendo 32.700 Mwh di recupero termico.