C’è un solo segno più nel sistema agroalimentare italiano, un “evento” straordinario per l’economia in tempo di crisi globale e contrazione dei consumi. Lo registra il settore dell’agricoltura biologica: + 7,3%. Una crescita su cui vale la pena riflettere al di là degli indicatori economici, soprattutto perché mangiare bio costa (un po’) di più. Altri numeri fotografano un boom che non conosce contrazioni. In Italia ci sono 48 mila operatori biologici, la stragrande maggioranza produttori, cioè agricoltori (38 mila), gli altri 10 mila si occupano di trasformazione e importazione dei prodotti. Sono più o meno gli stessi numeri che si registravano intorno al 2000 quando esplose la “moda” bio, segno che ormai il settore poggia su basi piuttosto solide. La superficie coltivata è di 1 milione e 100 mila ettari, il 9% del sistema agricolo italiano: un ettaro su dieci è coltivato a biologico. Il fatturato si aggira attorno ai 2 miliardi di euro l’anno, il 2% di tutto l’agroalimentare. “Questi sono i numeri della nostra vittoria”, dice non senza sottolineare alcune problematicità Alessandro Triantafyllidis, presidente di Aiab (Associazione italiana agricoltura biologica).

[do action=”citazione”]In Italia 48 mila operatori «bio» coltivano più di 1 milione di ettari: 2 miliardi il fatturato e domanda in crescita[/do]

A proposito di numeri, c’è chi vi accusa di coltivare roba buona ma solo per consumatori benestanti che se lo possono permettere. La critica è un po’ datata ma come rispondete?

So che anche il manifesto, ultimamente, ha sostenuto questa tesi in un articolo. I prezzi elevati ci sono ma si trovano esclusivamente in alcuni piccoli negozi di nicchia, erboristerie o botteghe biologiche per consumatori piuttosto facoltosi. Comunque sia l’acquisto di biologico è trasversale e riguarda tutte le fasce di reddito, ormai le persone si riforniscono nella grande distribuzione, e ultimamente ci sono anche alcuni discount che vendono biologico con il proprio marchio. In questo caso i prezzi sono decisamente più contenuti. Inoltre non bisogna dimenticare l’esplosione della filiera corta: il 10% delle vendite avviene per contatto diretto tra produttore e consumatore nei mercatini sparsi sul territorio italiano. Ormai tutti riconoscono il valore di acquistare frutta e verdura senza pesticidi.

Forse per comprendere le ragioni del successo del cibo più sano non bisogna soffermarsi solo sull’aspetto economico.

Il dato puramente economico – un + 7,3% di incremento del biologico rispetto al 2012 in tempi di crisi – conferma che i cittadini hanno compreso che pagare un po’ di più significa mangiare meglio e insieme fare del bene all’ambiente. Il messaggio è passato. Spendere di più per il cibo produce anche un effetto psicologico che induce a ridurre gli sprechi (secondo la Fao un terzo del cibo prodotto del mondo finisce nella spazzatura). Il consumatore è portato a sprecare di più il cibo che costa poco perché in fondo pensa di poterselo permettere, mentre il cibo che ha un valore dà la giusta coscienza di come utilizzarlo al meglio.

La grande distribuzione ha avuto il merito di rendere popolare il biologico, ma esercita una forte pressione sui produttori per tenere bassi i prezzi. Non è un rischio per la qualità dei prodotti?

Il problema c’è. La grande distribuzione punta ad aumentare il profitto e ha un forte potere contrattuale anche nei confronti dei piccoli produttori bio. Adesso che il settore è diventato uno dei principali canali di vendita, è una pressione che si sente. Poi commercializzano il miele bio Coop, o Esselunga, per nominare due colossi, ed è difficile sapere da dove proviene.

Il consumo è distribuito omogeneamente su tutto il territorio italiano?

La spinta al consumo interno oggi cresce dappertutto. Venti anni fa si vendeva biologico quasi solo nel nord, oggi invece il centro Italia sta crescendo molto, anche grazie alle campagne informative realizzate nei singoli comuni. Roma, per esempio, ha sostenuto il biologico per diversi anni e fino all’anno scorso era un vero caso in tutta Europa, con 50 milioni di euro di consumi, la prima città in Italia. Nel sud, invece, pur essendo il principale produttore di agricoltura biologica – con in testa Sicilia, Puglia e Calabria – il consumo cresce ma in maniera più limitata.

I produttori italiani riescono a soddisfare la richiesta interna, visto che è in crescita così esponenziale?

E’ una questione aperta. Il numero dei produttori è rimasto sostanzialmente uguale mentre la domanda di biologico è aumentata, quindi viene soddisfatta con prodotti coltivati altrove. In Italia, ovviamente, il prodotto costa di più e quindi gli agricoltori sono soggetti alle spietate regole del mercato globale, ecco perché servirebbero politiche di sostegno più decise. La Spagna, per esempio, sul mercato bio era inesistente mentre oggi ha raggiunto la produzione italiana.

Cosa dovrebbe fare la politica?

Promuovere il biologico con scelte concrete a livello europeo. Per esempio diminuire i contributi all’agricoltura convenzionale. Nei 27 stati membri il biologico più o meno è normato allo stesso modo, ma ormai il mercato è diventato globale. La Ue ha avviato un processo di equivalenza positivo, per cui l’olio bio italiano certificato può tranquillamente essere venduto come tale negli Usa. Quello che invece noi critichiamo è il concetto di equivalenza che si sta imponendo anche tra gli organismi di controllo. E’ un processo troppo veloce perché mentre in Italia le verifiche sono molto più rigide altrove le maglie potrebbero essere più larghe, e il mercato così rischia di essere invaso da prodotti biologici di dubbia qualità.

[do action=”quote” autore=”Alessandro Triantafyllidis, presidente Aiab”]«Non è vero che sono prodotti di lusso. Gran parte si acquistano nei supermercati. E in più è boom della filiera corta»[/do]

L’Expo, a Milano tra due anni, si pone l’ambizioso obiettivo di “nutrire il pianeta”. La vivete come una opportunità o piuttosto temete l’ingerenza delle multinazionali del biotech?

Potrebbe essere una grande opportunità, ma dobbiamo essere capaci di far passare il messaggio che l’agricoltura biologica fa bene anche al clima perché trattiene la Co2. Altro tema decisivo è l’acqua, è la risorsa principale e va utilizzata con più criterio, anche gli agricoltori del biologico ne fanno un uso eccessivo. Dobbiamo migliorare. Questo è uno degli aspetti che ci permetterebbe di essere antagonisti e alternativi all’agrochimica. Purtroppo sono quasi sicuro che la lobby del biotech non si farà sfuggire questa possibilità, l’Expo è una vetrina mondiale e parteciperanno tutti i paesi che usano massicciamente gli Ogm.

Quest’anno l’Aiab compie un quarto di secolo.

Sì, siamo nati nel 1988. In autunno festeggeremo con diverse iniziative e il 6 ottobre organizzeremo un grande convegno a Perugia. Abbiamo già buone sponde politiche, la presidente della Camera Laura Boldrini e altri parlamentari saranno con noi.

A proposito, il governo Pdl-Pd vi sembra una garanzia per l’agricoltura sostenibile?

Non abbiamo ancora avuto contatti diretti con il nuovo ministro De Girolamo, anche se ci tranquillizza il fatto che il Senato abbia approvato all’unanimità l’ordine del giorno che impegna i ministri ad applicare la clausola di salvaguardia contro gli Ogm.